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Recovery, Di Domenico (MEF) «L’Italia ce la farà»

Recovery, Di Domenico (MEF) «L’Italia ce la farà»

Intervista di approfondimento con Germana Di Domenico relatrice al nostro webinar sul Recovery Plan

venerdì 21 maggio 2021

In un recente webinar organizzato da Confcooperative sul Recovery Plan abbiamo avuto come relatrice Germana Di Domenico, Dirigente dell’Ufficio VII Direzione I – Analisi Economico-Finanziaria del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Abbiamo intervistato la dr.ssa Di Domenico per approfondire i temi del Recovery, delle riforme imminenti e del cambio di paradigma in corso nei rapporti con la PA, tra Pa e privati, tra Italia ed Europa. 

 

Che Italia sarà quella dei prossimi anni se riusciremo a cogliere a pieno tutte le opportunità offerte dal Recovery Plan?

«Sarà un’Italia diversa se cogliamo tutte le opportunità. In valore assoluto il nostro Paese è il primo beneficiario del pacchetto europeo che finanzierà  il Recovery per 191,5 miliardi nel quinquennio 2021 – 2026. Di questi 70 miliardi sono sovvenzioni, a cui si aggiungono altri 13 miliardi dello strumento React-EU che consiste interamente di finanziamenti a fondo perduto. Chiaro quindi che per il nostro Paese si pone la necessità di uno sforzo significativo di investimento/riforme per affrontare i nodi strutturali della nostra economia e della nostra società».

 

È una grande opportunità, ma al tempo stesso una grande sfida

«Direi proprio di si. Dobbiamo vincere la doppia sfida della transizione ecologica e digitale cui il PNRR destina rispettivamente il 40% e il 27% delle risorse complessive, ben oltre le soglie previste dalla CE (rispettivamente il 37% e il 20%). Non  si tratta tuttavia solo di Pnrr. Parliamo di una sfida molto più ambiziosa: trasformare l’Italia in un paese più moderno e più sostenibile. Nei prossimi anni l’incertezza resterà comunque elevata, con il mercato del lavoro che si dovrà adeguare a cambiamenti strutturali, alla riorganizzazione e alla rivoluzione dovuta alla digitalizzazione forzata. Altra grande prova è quella della produttività dove dobbiamo invertire un trend fortemente negativo dal momento che non cresciamo da oltre 20 anni per una serie di fattori a partire dalla mancanza di infrastrutture adeguate per finire alla struttura del nostro tessuto produttivo».

Cosa andrebbe fatto in tema di politiche del lavoro? 

«Rafforzare il capitale umano attraverso un programma di politiche attive mirate, in termini di formazione continua e riqualificazione professionale per accompagnare la forza-lavoro lungo un nuovo processo e nuove dinamiche: ci sono circa 6 mld nel PNRR su questo versante e circa 5 mld e per le categorie che hanno maggiormente sofferto tra cui i giovani e le donne, per favorirne l’“occupabilità”. La strategia di contenimento degli effetti della crisi, con il Sostegni bis, prevede tra l’altro un pacchetto lavoro ci circa 5 miliardi che contempla anche un “contratto di rioccupazione” con sgravi contributivi pari al 100% per tutti i settori produttivi. Di fondo c’è una strategia per passare gradualmente da una fase di contenimento delle implicazioni della pandemia ad una nuova fase di rilancio, di vera e propria ripresa».


Il Recovery una grande opportunità, ma prevede tempi serrati e riforme propedeutiche all’erogazione delle risorse. Gliela faremo? 

«A differenza dei fondi strutturali che hanno una logica basata sull’input con “rimborso” a fronte di spese sostenute, nel caso della RRF tramite cui si finanzia il PNRR il meccanismo è basato sull’output, per cui le risorse verranno erogate solo se l’Italia riuscirà a raggiungere le performance richieste sulla base di target determinati ex ante, con un monitoraggio semestrale e un controllo stretto sulla qualità della spesa. Lo stesso anticipo del 13% che ci si aspetta in estate, se la valutazione da parte della Commissione europea del nostro Piano sarà positiva, è subordinato a tale condizionalità. Va stigmatizzato, tuttavia, che per il successo del Pnrr è chiamata in causa tutta la PA, non solo quella centrale. Occorrerà un’efficacia vera degli interventi con raggiungimento di obiettivi qualitativi e quantitativi. Far convergere efficacia ed efficienza». 

I dati macroeconomici hanno evidenziato il drammatico peggioramento del Sud e dell’occupazione per giovani e donne, queste ultime tra le più colpite. Sud, giovani e donne cosa possono attendere dall’Italia del 2027?

 

«L’effetto più evidente del COVID sul mercato del lavoro è stato quello di acuire le differente tra insider e outsider, tutelati e meno tutelati. Si è ampliata la forbice anche tra uomini e categorie più vulnerabili ovvero donne e giovani. nel primo trimestre 2021 l’occupazione è cala a di 0,7 punti per gli uomini e di 1,6 punti per le donne e che diversamente dagli uomini, si registra un aumento dei disoccupati tra le donne e i giovani. E poi c’è il Sud, dove la crisi ha impattato fortemente su servizi e turismo che rappresentano ìl coredell’economia del Mezzogiorno, dove l’occupazione nei primi tre trimestri del 2020 è calata del 4,5%, vale a dire tre volte più del Nord. I “dossier” donne, giovani e Sud sono ben fissati nel Pnrr e ne rappresentano le tre priorità orizzontali. La stima governativa da qui al 2026 è di una crescita occupazionale del + 3,2% vale a dire 750mila persone tra giovani e donne al Sud».

 

Le donne sono tra le categorie più colpite. Quanto pesa sulla nostra competitività

«Sulle donne aprirei un capitolo a parte, le diseguaglianze di genere limitano la crescita del paese. Questo è il motivo per cui la questione di genere non può essere affidata a singoli interventi nel PNRR – che pur ci sono come le misure per l’imprenditorialità femminile, la promozione delle discipline scientifiche, servizi alla persona e all’infanzia– ma è una priorità che deve essere perseguita direttamente o indirettamente in tutte le missioni del Piano affinché l’obiettivo della riduzione dei divari esistenti sia perseguito in tutte le sfere dall’istruzione, all’assistenza, alla salute. E per la prima volta sono previste clausole di condizionalità affinché i progetti finanziati determinino effettivamente un aumento dell’occupazione femminile».

Quali saranno le prime riforme decisive?

«Sicuramente un pacchetto di riforme orizzontali dalla PA alla giustizia che hanno l’obiettivo di alleggerire gli oneri a carico di imprese e cittadini, di ridurre le incertezze e di migliorare il contesto imprenditoriale. Quest’ultimo aspetto sarà completato dalla semplificazione con decreto legge entro maggio e dalla revisione degli appalti pubblici con legge delega entro l’anno, entrambi cruciali per la messa a terra degli interventi».

Qual è il confine tra stato e privato?

«La legge sulla concorrenza regionale prevederà riforme che impatteranno anche sulle imprese, al fine di mobilitare il partenariato pubblico privato per agire da moltiplicatore sugli investimenti. La digitalizzazione rappresenta una chance storica anche per le pmi e le microimprese, per accorciare le distanze e agganciarsi al treno dello sviluppo. In generale occorrerà cercare un nuovo equilibrio nel paradigma di complementarietà tra pubblico e privato: amplificare l’impatto sulla crescita riducendo l’impatto sulla finanza pubblica».

Il nodo delle riforme è un punto imprescindibile, le imprese da tempo chiedono semplificazione, certezze e soprattutto tempi rapidi. La Pa del post Recovery sarà in grado di assecondare queste esigenze? Il rapporto Pa imprese è viziato dal fenomeno dei ritardati pagamenti, il Recovery Plan, e le riforme che ne deriveranno, riuscirà a porre rimedio?

 

«Sui tempi di pagamento della PA c’è un impegno di monitoraggio con una piattaforma dedicata. Altra cosa che si intende fare è rafforzare e migliorare le azioni e la qualità delle PA che come abbiamo detto non è solo quella centrale. Ci saranno ingenti risorse che andranno gestite dalla PA locale che si confronteranno con tutti gli attori incluse le parti sociali. La riforma che riguarderà la PA sarà ampia ed eterogenea e assegnerà un nuovo protagonismo al territorio».

Il Recovery rappresenta una svolta storica per l’Europa. Quanto può cambiare, grazie al Recovery, in termini di politica fiscale, spesa, progettazione?

«È senza dubbio una volta storica. Intanto per la magnitudine di risorse impiegate e per il modello basato sull’effettiva capacità di realizzazione e non sul mero rimborso. Cambia il paradigma di riferimento. La sfida più grande sta nella implementazione e nella capacità attuativa degli interventi. Il Mef, in questo, svolge un ruolo chiave anche nel rapporto/confronto con l’Europa. E’ inoltre prevista una “control room” a Palazzo Chigi per monitorare lo stato di avanzamento del Pnrr e che potrà anche proporre l'attivazione di poteri sostitutivi in caso di inerzia proprio per sbloccare i progetti che rimarranno fermi».

L’Europa continuerà a garantire misure paracadute? Ce la faremo?

«Le misure di supporto continueranno finché non ci sarà la ripresa, senza dubbio si proseguirà fino al 2022 con la clausola di sospensione del Patto di stabilità (general escape clause). I supporto sarà comunque sempre meno generalizzato e sempre più selettivo e mira a target specifici, se ne discuterà anche questa settimana all’Ecofin. Sottolineerei il grande passo che è stato fatto con l’emissione di titoli europei debuttato con l’iniziativa SURE - la cd cassa integrazione europea - e che riguarderà anche Next  Generation EU. Le previsioni economiche di primavera sono positive, cosi come l’outlook della Commissione Europea. Per l’Italia è prevista una crescita del 4,2% per il 2021 e del 4,4% per il 2022. Sono fiduciosa e conto sul fatto che l’Italia ce la farà».