Alla luce delle numerose richieste di chiarimento
pervenute nelle ultime settimane nonché del dibattito apertosi in dottrina sul
tema, con la presente comunicazione riteniamo opportuno fare un primo
approfondimento di merito sulla questione
della vaccinazione anti-COVID-19 dei lavoratori.
A tal fine, ci siamo avvalsi anche del supporto
dell’avvocato Giampiero Falasca, giuslavorista dello Studio Legale DLA PIPER, con
un articolato e approfondito parere pro
veritate redatto appositamente per il nostro sistema. Il parere deve
servire ad orientare su quali comportamenti possono essere attivati nei diversi
comparti in cui operano le imprese cooperative e, conseguentemente, del
differente rischio di contagio sul luogo di lavoro ad essi connesso.
Vale specificare che si tratta di considerazioni
valide in questo lasso temporale e, pertanto, ragionate rispetto alla situazione
generale attuale, fermo restando che potrebbero emergere ulteriori novità sia sul
fronte della campagna vaccinale sia sul piano normativo.
La nostra analisi va infatti collocata nel quadro normativo attualmente vigente
e, soprattutto, alla luce della campagna
vaccinale finora messa in campo nel nostro paese(1), che, come
noto, non impone alcun obbligo vaccinale
per legge, non rende il vaccino liberamente acquistabile dalle imprese né
permette a chiunque di incidere, in termini di richiesta, sulle categorie di
soggetti da vaccinare in via prioritaria (es. ad un datore).
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* *
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L’ASSENZA
DI UN OBBLIGO VACCINALE GENERALIZZATO PER I LAVORATORI
A normativa vigente, in linea generale, il datore di
lavoro non è legittimato a imporre al lavoratore dipendente l’obbligo di
sottoporsi alla vaccinazione.
L’assenza di una norma che imponga l’obbligatorietà
del vaccino anti-Covid, unitamente al disposto costituzionale (art. 32 Cost.) secondo
cui un trattamento sanitario non può essere imposto se non per disposizione di
legge, orientano su questa posizione.
La suggestiva ipotesi che un obbligo vaccinale possa
derivare dall’applicazione dell’art. 2087 c.c. in base al quale
“L’imprenditore
è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la
particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare
l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”
non appare sufficiente a sostenere un potere
coercitivo tout court in capo al
datore di lavoro. In questa fase, risulterebbe difficile sostenere che in
relazione al vaccino anti-Covid il datore di lavoro sia dotato di quella “esperienza” e di quella “tecnica” cui fa riferimento il Codice
Civile, congiuntamente al fatto di essere attualmente impossibilitato a
somministrare direttamente i vaccini.
Il valore di questa previsione codicistica è indubbio
e ricordiamo(2) che, in piena emergenza, il legislatore ha opportunamente
chiarito che ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, il
suddetto art. 2087 C.C. debba ritenersi adeguatamente applicato laddove
un’impresa adotti specifiche soluzioni in linea con il Protocollo Sicurezza
Covid sottoscritto dalle parti sociali il 24 aprile 2020.
Il Protocollo, richiamato ed allegato a tutti i DPCM successivi
alla firma quale punto di riferimento obbligatorio, pena l’impossibilità per le
imprese di continuare la propria attività, non contiene nulla in merito all’obbligo
vaccinale per i lavoratori. Non
poteva che essere così visto che, quando è stato sottoscritto, non era
disponibile alcun vaccino.
Ma un eventuale aggiornamento in cui si prevedesse un
obbligo vaccinale per i lavoratori, come più ampiamente illustrato nel parere, potrebbe
costituirne un valido presupposto fondante dato che, l’obbligo per un’impresa
di rispettare tutte le misure indicate dal Protocollo, ha comunque una
validazione normativa.
Infine, sempre con riferimento al quadro normativo
vigente, un obbligo generalizzato di vaccinazione contro il Covid-19 non risulta
rinvenibile nemmeno tra le norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro di
cui al. T.U. 81/2008.
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LA
SOSPENSIONE TEMPORANEA IN ASSENZA DI VACCINO INDISPENSABILE
Considerato che il virus risulta a tutti gli effetti
qualificabile come “agente biologico” – riconducibile al cosiddetto gruppo di
rischio 3 secondo quanto previsto da specifica direttiva UE già recepita in
Italia(3) - il Testo
Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro determina per il datore di lavoro:
-
sia l’eventuale
necessità di rielaborare o integrare, in collaborazione con RSPP(4) e il medico competente, il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) proprio in ragione del
rischio di contagio da Covid-19 (art. 271);
-
sia la possibilità,
sempre su conforme parere del medico competente, di adottare, laddove
necessarie anche per motivi sanitari individuali dei singoli lavoratori,
misure speciali di protezione fra cui “la messa a disposizione di vaccini efficaci
…” per soggetti non già immuni nonché “l’allontanamento temporaneo del
lavoratore” secondo quanto specificatamente previsto dal medesimo T.U.
all’art. 42 in materia di inidoneità
alla mansione (art. 279).
Decadendo automaticamente l’ipotesi di
somministrazione del vaccino direttamente da parte dell’impresa data la situazione
attuale per cui il datore di lavoro non è nelle condizioni di poter effettuare
la vaccinazione, rimarrebbe in alcune situazioni operative la seconda soluzione.
Va considerato che i datori di lavoro hanno sempre a disposizione tutta una
serie di strumenti, sempreché praticabili e opportuni, per gestire diversamente
lo svolgimento della prestazione dei lavoratori (vedi ad esempio lavoro agile o
altre soluzioni suggerite dal Protocollo Covid).
Se da un lato si registra l’assenza di un obbligo
generalizzato alla vaccinazione dei lavoratori, dall’altro, in determinati casi ben specifici il datore di lavoro,
di concerto con il medico competente nell’esercizio dell’attività di
sorveglianza sanitaria, può disporre la sospensione di un lavoratore per inidoneità
alla mansione.
La strada della sospensione per inidoneità alla
mansione risulterebbe eventualmente
praticabile soprattutto a fronte del rifiuto di un lavoratore a vedersi
somministrato il vaccino qualora venisse chiamato nell’ambito della campagna in
corso, anche considerando che la sua mancata vaccinazione potrebbe costituire
un impedimento non solo per l’esercizio della sua personale attività, ma in
generale per il mantenimento delle condizioni di salute e sicurezza sul luogo
di lavoro (es. verso colleghi o verso utenti/clienti).
Come detto, e come
puntualmente ed operativamente descritto nel parere cui rinviamo qualora ci si
trovasse di fronte a questa fattispecie, la procedura di sospensione e
l’eventuale inidoneità alla mansione deve essere necessariamente gestita e
valutata dal medico compente, alle cui indicazioni il datore di lavoro deve
attenersi scrupolosamente.
Sarà quindi solo il medico competente a valutare la
compatibilità per un lavoratore, considerate anche le sue condizioni fisiche, a
svolgere le proprie mansioni nel contesto specifico ed esprimendo un
determinato giudizio: idoneità; idoneità parziale temporanea o permanente con
prescrizioni o limitazioni; inidoneità temporanea; inidoneità permanente.
Come noto, secondo quanto previsto dall’art. 42 del
T.U. 81/2008, un giudizio di inidoneità
alla mansione espresso dal medico competente comporta l’onere per il datore di
lavoro di adibire ove possibile il lavoratore a mansioni equivalenti o,
in mancanza, di livello inferiore con il mantenimento del medesimo trattamento
economico (c.d. onere di repechage).
Cioè, si deve procedere in questa direzione qualora
risulti possibile e ragionevole per un datore di lavoro, senza dover
stravolgere la propria organizzazione aziendale, assegnare al lavoratore
sospeso altre mansioni compatibili con il suo stato.
Laddove tale soluzione non fosse
praticabile, in base ad un
consolidato orientamento giurisprudenziale,
il datore di lavoro ha la facoltà di sospendere il dipendente dal servizio e
dalla retribuzione fino al momento in cui la situazione non trovi una sua
definizione.
In base ai medesimi orientamenti giurisprudenziali,
riteniamo sia da escludere l’ipotesi di un licenziamento -
per giustificato motivo oggettivo - trattandosi
nei casi in questione di un’eventuale inidoneità temporanea e non permanente.
Il lavoratore potrebbe successivamente decidere di accettare la vaccinazione, o
risultare immune al virus oppure un miglioramento del quadro epidemiologico
potrebbe far decadere l’imprescindibilità del vaccino.
Non considerando quindi praticabile il licenziamento
di un lavoratore che non si sottoponga al vaccino nemmeno nell’ipotesi di
impossibilità di repechage a seguito
della sua sospensione per inidoneità alla mansione, ricordiamo(5) che ormai da quasi un anno, in considerazione
dell’emergenza sanitaria in corso, vige uno specifico divieto di licenziamento
per motivi economici, esteso al momento fino al 31 marzo 2021.
Tuttavia, come ricordato nel parere, secondo un altro
punto di vista, segnaliamo che un lavoratore dimostratosi indisponibile a
collaborare per l’attuazione delle misure di sicurezza indicate nel DVR della
sua impresa, debba ritenersi comunque sanzionabile disciplinarmente. In questo
senso, il datore può perseguire un licenziamento - legittimo in questo caso – a
fronte di una violazione particolarmente grave e reiterata, come ad esempio, il
rifiuto ad utilizzare i dispositivi di protezione individuale (DPI) quali
banalmente la mascherina nell’attuale contesto pandemico.
Ciò perché, in base all’art. 20 del T.U. 81/2008,
tutti i lavoratori sono chiamati a collaborare responsabilmente nel prendersi
cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti
sul luogo di lavoro e, quindi, in definitiva per una corretta applicazione
della normativa.
-
IN
SINTESI: SCENARI DIFFERENTI NELLE DIVERSE TIPOLOGIE DI IMPRESE
Lo strumento della sospensione per inidoneità alla
mansione andrà valutato rispetto al singolo caso ma, senza dubbio, data la diversa natura dell’attività d’impresa
svolta e il differente livello di rischio ad essa associata, si può
ritenere in via generale che:
-
nelle imprese
cooperative operanti nel settore socio-sanitario, assistenziale ed educativo,
nonché in quelle direttamente impegnate in attività di supporto alla
prevenzione del contagio da Covid-19 (es. sanificazione ambienti, pulizie,
etc.)
ð
la somministrazione
del vaccino anti-Covid al lavoratore emerge quale presupposto indispensabile
per la continuazione dell’attività, motivo per cui, davanti al rifiuto di
partecipare alla campagna vaccinale in corso, il datore di lavoro potrà, previo
accertamento a cura del medico competente della sua inidoneità temporanea alla
mansione, assegnarlo ad altre mansioni compatibili con il suo stato
garantendogli comunque il precedente trattamento economico o,
nell’impossibilità effettiva di repechage,
decidere come estrema ratio la
sospensione del dipendente dal lavoro e dalla retribuzione;
-
in tutte le altre
tipologie d’impresa, anche con contatto con il pubblico o che svolgono attività
di tipo artigianale, industriale, agricolo, commerciale - fatta eccezione per
mansioni/attività che a giudizio del medico competente possano determinare,
tenuto anche conto delle condizioni fisiche del lavoratore, un particolare
rischio di contagio da Covid-19 e per le quali vale quanto illustrato al punto
precedente
ð
non risulta
possibile pretendere la partecipazione di un lavoratore alla campagna vaccinale
né in alternativa procedere ad un’eventuale sospensione temporanea dello stesso
per inidoneità alla mansione.
*
* *
Come detto, si tratta di un primo approfondimento
suscettibile di modifiche ed evoluzioni alla luce dei vari contesti che
influiranno sulle tutte attività lavorative.
Pertanto, nel rinviare al parere allegato per un utile
approfondimento, il Servizio Sindacale Giuslavoristico resta a disposizione per
raccogliere eventuali segnalazioni specifiche in materia o per ogni ulteriore
chiarimento fosse necessario.
(1)
Piano strategico per la vaccinazione
anti-SARS-CoV-2/COVID-19” elaborato da Ministero della Salute, Commissario
Straordinario per l’Emergenza, Istituto Superiore di Sanità, Agenas e Aifa,
come illustrato dal Ministro della salute in Parlamento lo scorso 2 dicembre
2020 e aggiornato al 12 dicembre 2020.
(2) Circolare Servizio Sindacale Giuslavoristico n. 46
del 9 giugno 2020 – prot. n. 1842.
(3) Circolare Servizio Sindacale Giuslavoristico n. 75 dell’8
ottobre 2020 – prot. n. 3327.
(4) Responsabile del servizio di prevenzione
e protezione.
(5) Circolare Servizio Sindacale
Giuslavoristico n. 3 del 13 gennaio 2021 – prot. n. 41.