Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale
degli ultimi 4 decreti attesi, si chiude e si completa la configurazione
complessiva della riforma del mercato del lavoro, denominata JOBS ACT ed
avviata, come noto, a dicembre dello scorso anno. Come per i precedenti decreti attuativi,
tratteremo i singoli atti normativi con circolari separate in base alle materie
trattate.
Il decreto legislativo in oggetto, per la
prima volta negli ultimi 15 anni, affronta il delicato tema dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, sul quale per molti
anni Confcooperative ha chiesto attenzione e aggiornamento normativo.
Certamente si tratta di un primo passo
positivo, sulla cui verifica d’efficacia sarà necessario attendere, da un lato
il completamento operativo del nuovo disegno e, dall’altro, dati concreti sul
collocamento, il ricollocamento e l’accompagnamento verso una migliore
qualificazione del lavoro.
Infatti, con il decreto in oggetto si procede
ad una SIGNIFICATIVA RICONFIGURAZIONE
della materia, in maniera complementare
rispetto ad altri interventi condotti soprattutto sul fronte dei licenziamenti,
dei trattamenti di disoccupazione e degli ammortizzatori sociali.
Il decreto, composto da 35 articoli e formalmente in vigore dal 24 settembre 2015
- sebbene siano molte le norme che
vincolano la loro operatività all’emanazione di ulteriori decreti – è
articolato su 3 capitoli principali:
-
RETE DEI SERVIZI PER
LE POLITICHE DEL LAVORO;
-
DEFINIZIONE DI
PRINCIPI GENERALI SU POLITICHE ATTIVE;
-
RIORDINO DEGLI
INCENTIVI ALL’OCCUPAZIONE.
Rete
dei servizi per le politiche del lavoro (artt. 1- 17)
Con l’auspicio che, dopo vani tentativi
condotti negli anni passati, si possano conseguire buoni risultati occupazionali
in quest’ambito con adeguati livelli di incontro domanda-offerta, rileviamo
come la macchina organizzativa chiamata a programmare e gestire servizi e politiche
attive avrà bisogno di tempo e di nuovi
provvedimenti attuativi prima di entrare pienamente in funzione.
Ci riferiamo in particolare alla costituenda Agenzia Nazionale per le
Politiche Attive del Lavoro (d’ora in poi ANPAL), operativa dal 2016
e deputata a coordinare, sotto
l’indirizzo e il controllo del Ministero del Lavoro, la Rete nazionale dei servizi e delle politiche del lavoro (art. 1).
Compongono
la rete,
oltre che Regioni, INPS, INAIL, enti strumentali del Ministero (ISFOL e Italia Lavoro),
agenzie per il lavoro di cui all’art. 4 della legge n. 276/2003 e altri
soggetti autorizzati all’intermediazione di manodopera, università e scuole di
2° grado, anche i FONDI
INTERPROFESSIONALI per la formazione continua (FONCOOP) costituiti dalle parti
sociali nonché le Camere di Commercio.
L’intervento di ricomposizione in una AGENZIA
NAZIONALE dei diversi attori che giocano un ruolo determinante sulle politiche attive
del lavoro, comprese quelle formative, è apprezzabile per evitare la
frammentazione generata dall’operato delle Regioni, per realizzare una maggiore
integrazione con le politiche passive (con norme più severe di condizionalità e
incrocio di banche dati) e per conseguire maggiori sinergie funzionali ad un
uso ottimale delle risorse. Il nuovo assetto interessa, quindi, anche i fondi
interprofessionali di cui alla legge 388/2000 (tra cui FONCOOP).
Da questo punto di vista il decreto attribuisce
una serie di funzioni al Ministero del Lavoro e all’ANPAL così riassumibili:
-
al Ministero, anche
su proposta dell’ANPAL, compete l’indirizzo
sul sistema della formazione continua, compresa quella finanziata con i fondi
interprofessionali (art. 2, comma 3,
lett. c);
-
all’ANPAL compete la
vigilanza sui fondi interprofessionali (art.
9, comma 1, lettera n);
-
per
raccogliere e sistematizzare tutti i percorsi formativi svolti dai soggetti
residenti in Italia nel fascicolo elettronico del lavoratore (art. 14), introdotto al posto del libretto formativo di cui alla legge n.
276/2003 - mai effettivamente messo a regime - l’ANPAL realizzerà un sistema informativo della formazione
professionale ricevendo dati provenienti anche dai fondi interprofessionali
(art. 15). L’individuazione delle modalità
e degli standard per il conferimento dei dati viene rimandata ad un successivo
momento.
Da segnalare anche l’art. 17, che riformula l’art. 118, comma 2, della legge 388/2000,
relativo al rilascio ai Fondi
interprofessionali dell’autorizzazione ad operare da parte del Ministero
del Lavoro, assegnando coerentemente la vigilanza sulla gestione degli stessi
all’ANPAL.
Peraltro, in termini di finanziamenti, all’ANPAL sono dirottate
gran parte delle risorse finanziarie fino ad oggi disperse su altri capitoli di
spesa inerenti le politiche attive e la formazione, comprese una parte di quelle raccolte con il
contributo dello 0,30% e “inoptate”, vale a dire non destinate ad alcun Fondo
interprofessionale in assenza di specifica scelta dell’impresa (art. 5, comma 2).
Un capitolo distinto da quello relativo ai
fondi interprofessionali, ma strettamente interconnesso, riguarda come
noto la materia dell’accreditamento
degli enti formativi: nella sua prima versione il decreto stabiliva che,
ferma restando la competenza regionale su questo tema, il Ministero del Lavoro
avrebbe provveduto a definire dei criteri a livello nazionale da rispettare.
Nel decreto in vigore, invece, tale definizione è rimessa ad un’apposita intesa
da sancire in Conferenza Stato-Regioni (art.
3, comma 4).
Sull’accreditamento
delle agenzie e dei servizi per il lavoro (art. 12) la competenza resta delle Regioni/Province
Autonome, che definiscono i propri regimi nel rispetto di criteri condivisi
in Conferenza Stato-Regioni e poi contenuti in un apposito DM Lavoro.
In via sussidiaria all’ANPAL spetta il compito di istituire l’Albo nazionale dei soggetti accreditati, nel
quale verranno iscritte le agenzie che
vorranno operare su tutto il territorio nazionale e le agenzie che intendono
operare in regioni dove non esiste alcun regime di accreditamento.
Più in generale, infatti, il ruolo di
coordinamento a livello nazionale attribuito all’ANPAL (art. 1, comma 4) verrà esercitato facendo tuttavia salve le
competenze delle Regioni che, in attesa della riforma costituzionale, restano
di fatto invariate.
In termini di strumentazione si procederà
alla stipula di una convenzione tra Ministero del Lavoro e ciascuna
Regione/Provincia Autonoma (art. 11,
comma 1), sulla falsariga di quanto avvenuto con la Garanzia Giovani
Tale convenzione sarà volta regolare i
relativi rapporti e, soprattutto, a garantire il rispetto dei livelli
essenziali delle prestazioni in tutto il territorio nazionale, così come
stabiliti con apposito DM Lavoro, previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni (art. 2, comma 1, lett. b) – contestualmente
con l’art. 34, comma 1, lett. e),
viene abrogato il decreto legislativo 469/1997, fino ad oggi vigente, relativo
al conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in
materia di mercato del lavoro.
In relazione al modello di governance disegnato per l’ANPAL evidenziamo che il
futuro “Comitato di vigilanza”,
chiamato a formulare proposte sulle linee di indirizzo generale e sugli
obiettivi strategici dell’Agenzia e contestualmente a vigilare sugli stessi (art. 7, comma 4), sarà composto da esperti della materia designati
dalle parti sociali (art. 6, comma
4).
Particolarmente significativa dal nostro
punto di vista è anche la previsione di cui all’art. 3, comma 3, lett. b), che stabilisce la competenza del Ministero del Lavoro, su proposta dell’ANPAL, a definire
specifiche linee di indirizzo per il collocamento dei disabili ex lege n. 68/1999,
accanto ad orientamenti validi a livello più generale in materia di politiche
attive.
Si tratta di una norma da leggere in stretta
connessione con la complessiva opera di rivisitazione del collocamento mirato
condotta, sempre in attuazione del JOBS ACT, con il decreto legislativo appena
varato in materia di semplificazioni, nonché con il fatto che al collocamento
dei disabili si applicano, in quanto compatibili, i principi generali in
materia di politiche attive di cui sotto.
Principi
generali in materia di politiche attive del lavoro
(artt. 18-28)
Un primo aspetto degno di attenzione riguarda
il coinvolgimento dei soggetti privati
accreditati di cui possono avvalersi le Regioni (art. 18, comma 2).
Ciò sulla base di costi standard definiti
dall’ANPAL, lasciando comunque all’utente facoltà di scelta e fatte salve alcune specifiche attività di
competenza esclusiva dei Centri per l’Impiego pubblici, quali profilazione
lavoratori disoccupati e definizione patto di servizio personalizzato (art. 20) e rilascio dell’assegno di
ricollocazione (art. 23, comma 2).
Nella sostanza, però, stante quanto detto in
merito all’accreditamento dei servizi per il lavoro e al coordinamento
ANPAL-Regioni (regolazione dei rapporti tramite singole convenzioni e
mantenimento attuali competenze), bisognerà
capire se la facoltà di scelta degli utenti significherà effettiva apertura a
soggetti privati nelle regioni dove non si è proceduto in questa direzione o se
saranno mantenuti gli attuali orientamenti.
Quanto allo stato di disoccupazione (art.
19), il provvedimento, nel riformulare la relativa disciplina, attribuisce
particolare importanza alla disponibilità
del soggetto a partecipare alle misure di politica attiva, oltre che a
lavorare, introducendo, anche qui in analogia a quanto fatto con la Garanzia
Giovani, il concetto di profilazione
dell’utenza (basata sul livello di occupabilità del singolo, cioè sulla sua
probabilità di trovare una nuova occupazione).
Altro passaggio chiave è rappresentato dalla
definizione di meccanismi vincolanti - c.d.
condizionalità - perché i beneficiari di trattamenti di disoccupazione (tra
tutti NASpI, ma anche vecchia ASpI, DIS-COLL, ASDI, indennità di mobilità) e di ammortizzatori sociali con riduzione
d’orario superiore al 50% nell’ambito di un periodo di 12 mesi (CIGO,
CIGCS, contratti o fondi di solidarietà) si
presentino ai Centri per l’Impiego e partecipino alle iniziative loro proposte,
pena la decurtazione degli importi spettanti o la decadenza dalle prestazioni (cfr.
rispettivamente artt. 21 e 22).
In particolare, per i beneficiari di
ammortizzatori sociali esiste l’obbligo di presentarsi alle convocazioni dei
Centri per l’Impiego in orari compatibili con la prestazione lavorativa e, nel
loro caso, i CPI al momento di definire il patto di servizio, possono valutare sentito
il datore di lavoro l’eventuale
coinvolgimento/concorso dei fondi interprofessionali per la formazione continua
(art. 22, comma 2) o prevedere anche lo svolgimento di attività di
pubblica utilità a beneficio della comunità territoriale di appartenenza (art. 26)
In generale, servirà un po’ di tempo per
verificare come verranno concretamente attuate tali disposizioni dai Centri per
l’Impiego, visto che alcune riprendono in maniera più puntuale e cogente
analoghe norme dettate in passato per integrare politiche passive e attive, ma
forse mai effettivamente rispettate (stessa cosa dicasi per i tempi entro cui –
30 giorni – i CPI devono convocare gli interessati per la definizione del patto
di servizio personalizzato di cui all’art.
20).
L’aver ora previsto (art. 21, comma 11) che la mancata adozione dei provvedimenti di
decurtazione/decadenza dalla prestazione determina una responsabilità
disciplinare e contabile in capo al funzionario pubblico responsabile potrebbe
rappresentare da questo punto di vista una novità, così come, sempre in tale
direzione, la destinazione alle Regioni, per incentivare il proprio personale,
del 50% degli eventuali risparmi prodotti dai medesimi provvedimenti (art. 21, comma 13).
Analoghi meccanismi
sanzionatori con decadenza dalla prestazione si applicano anche per
i casi di rifiuto di un’offerta di lavoro
congrua, così come definite dall’art.
25.
Particolare attenzione va quindi posta sul
nuovo ASSEGNO di RICOLLOCAZIONE (art. 23) che viene rilasciato dai Centri per l’Impiego ai soggetti beneficiari della
NASpI disoccupati da più di 4 mesi che ne abbiano fatto richiesta.
Le nuove
disposizioni sostituiscono quelle in precedenza contenute nel decreto
legislativo 22/2015(1) (art. 17, commi da 2
a 7) – ora abrogate - che già alcuni
mesi fa avevano introdotto il contratto di ricollocazione con destinatari tutti
i soggetti disoccupati e non solo quelli da più di 4 mesi (istituto ma non
ancora a regime, perché in attesa dell’emanazione di ulteriori decreti,
compreso quello sulle politiche attive qui in commento).
L’assegno di ricollocazione si configura
quindi uno strumento dedicato ad una
platea circoscritta di disoccupati, in presenza del quale si viene a
configurare un particolare percorso di assistenza alla ricollocazione con
sospensione del patto di servizio personalizzato in precedenza sottoscritto
(gli interessati devono farne domanda proprio presso il Centro per l’Impiego
dove hanno sottoscritto il loro patto di servizio).
L’assegno diventerà operativo dopo che il CdA dell’ANPAL avrà definito il suo effettivo ammontare
e le relative modalità attuative.
La sua durata è invece già stabilita in 6 mesi, prorogabile per altri 6 mesi se
l’assegno non è stato ancora consumato per intero.
L’assegno, irrilevante ai fini fiscali e
non assoggettato a contribuzione previdenziale/assistenziale, sarà comunque
di un importo graduato in funzione della
classe di profilazione attribuita al soggetto (presumibilmente, come
avvenuto per la Garanzia Giovani, più elevato in presenza di una maggiore
difficoltà a trovare una nuova occupazione) e potrà essere speso presso i Centri per l’Impiego o presso i servizi
privati accreditati entro 2 mesi dal suo riconoscimento, pena la decadenza
dalla NASpI e dallo stato di disoccupazione.
Nel darne attuazione l’ANPAL dovrà peraltro prestare
attenzione al riconoscimento
dell’assegno prevalentemente al risultato occupazionale ottenuto.
Inoltre, anche in questo caso vigono
particolari meccanismi di condizionalità con decurtazione/decadenza dalla prestazione in assenza di adesione alle
iniziative proposte dai servizi per il lavoro o per la mancata accettazione di
una congrua offerta di lavoro.
Un ultimo aspetto riguarda il suo finanziamento
visto che l’assegno di ricollocazione
potrà essere rilasciato nei limiti delle risorse assegnate alla
Regione/Provincia Autonoma di residenza.
Al finanziamento
dell’assegno di ricollocazione (art. 24)
concorrono:
-
il
Fondo per le politiche attive istituito
presso il Ministero ai sensi della legge di stabilità 2014, inizialmente
destinato al finanziamento dell’abrogato contratto di ricollocazione (che
vanta una dotazione di 52 milioni per il
2015 e 20 milioni per il 2016);
-
risorse provenienti
dai programmi operativi cofinanziati con i fondi strutturali europei (FSE), in una misura
ancora da determinare ma comunque nel rispetto dei regolamenti comunitari;
-
il
versamento all’ANPAL da parte dell’INPS di una quota pari al 30% delle indennità mensili residue che sarebbero
spettate a ciascun soggetto percettore della NASpI, poi assunto a tempo
indeterminato. Si segnala che queste ultime risorse derivano da una
contestuale riformulazione dell’art. 2, comma 10-bis, della legge 92/2012, che
fissa al 20% e non più al 50%
dell’indennità l’incentivo da riconoscere al datore di lavoro che procede
all’assunzione a tempo indeterminato del disoccupato che percepisce la NASpI – considerando
solo le mensilità residue e non godute dallo stesso.
Riordino
degli incentivi all’occupazione (artt. 29-32)
Un primo intervento (art. 29) riguarda l’abrogazione degli incentivi per le assunzioni
di giovani disoccupati a tempo indeterminato di cui all’art. 1 del D.L. 76/2013
(di fatto ormai superati sia perché riguardavano i contratti stipulati
entro lo scorso mese di giugno sia per il maggior successo riscosso dal bonus
occupazionale introdotto con l’ultima legge di stabilità).
Le risorse non ancora utilizzate su questo
strumento, insieme a quelle destinate fino ad ora alle Regioni per
sovvenzionare progetti formazione dei lavoratori ai sensi dell’art. 6, comma 4,
della legge 53/2000 (abrogato anch’esso in base all’art. 32, comma 5), sono dirottate per la creazione di un apposito
piano gestionale per il finanziamento di politiche attive.
È quindi istituito
presso l’ANPAL un repertorio nazionale degli incentivi all’occupazione (art. 30), ricomprendendo tra questi
tutti “i benefici normativi o economici riconosciuti ai datori di lavoro in
relazione all’assunzione di specifiche categorie di lavoratori”.
Tale albo, per la cui alimentazione
Regioni/Province Autonome sono tenute a comunicare all’ANPAL l’introduzione di
qualsiasi nuovo incentivo, conterrà, per ciascuno di essi, informazioni chiave come categorie di lavoratori e datori interessati,
importo e durata e modalità di erogazione.
Sempre l’art.
30 (comma 4) stabilisce che di
regola la fruizione degli incentivi avviene attraverso conguaglio con i
contributi previdenziali.
Con l’art.
31, invece, si riprendono principi generali
di fruizione degli incentivi già espressi con la legge 92/2012 o con precedenti
disposizioni, ora abrogate in quanto sostituite, per cui trovano ad esempio
conferma sia l’impossibilità di beneficiare di incentivi se l’assunzione
agevolata è conseguenza di obblighi normativi/contrattuali sia il rispetto del
diritto di precedenza da riconoscere ad un ex dipendente dell’impresa.
Emergono tuttavia alcune novità, tra cui
preme segnalare:
-
l’impossibilità per i datori di lavoro che
hanno alle proprie dipendenze lavoratori sospesi per crisi o riorganizzazione
di impiegare, nella stessa unità produttiva, nuovi lavoratori inquadrati allo
stesso livello rispetto quello posseduto dai lavoratori sospesi: fino
ad oggi il veto era su lavoratori con la stessa professionalità – la modifica
si pone in sintonia con la nuova disciplina sulle mansioni apportata, sempre in
applicazione del Jobs Act, dall’art. 3 del decreto legislativo 81/2015 (2);
-
precisazioni
in via normativa (e non più attraverso circolari e interpelli) sul fatto che il
requisito dell’incremento occupazionale
netto della forza lavoro mediamente occupata, laddove richiesto, si calcola
mensilmente, confrontando il numero di lavoratori dipendenti equivalente a
tempo pieno (c.d. full time equivalent –
FTE) del mese di riferimento con quello medio dei 12 mesi precedenti.
Le norme più significative in materia di
incentivi riguardano sicuramente l’APPRENDISTATO
DI I° e III° LIVELLO – tipologie ancora poco utilizzate dalle imprese –
nell’ottica di sviluppare un effettivo sistema di alternanza scuola-lavoro (cd. sistema duale).
Da questo punto vista l’art. 32, facendo seguito alle novità già introdotte con il decreto
legislativo 81/2015, e parallelamente ad un leggero aumento delle risorse
destinate a percorsi scolastici/formativi che fanno leva sul primo livello (comma 3), stabilisce che per i contratti di apprendistato per la
qualifica, il diploma e il certificato di specializzazione tecnica (I° livello)
e di alta formazione e ricerca (III° livello) stipulati a partire dall’entrata
in vigore del decreto e fino a tutto il 2016:
-
NON si pagherà la
c.d. TASSA DI LICENZIAMENTO;
-
NON si pagherà la
CONTRIBUZIONE ASpI e il contributo dello 0,30% destinato alla formazione
continua e ai fondi interprofessionali;
-
l’ALIQUOTA
contributiva per gli apprendisti, pari in via generale al 10% (cui si aggiunge
il contributo ASpI dell’1,31%), è ridotta al 5% - vale ricordare che
rispetto all’aliquota ordinaria per le imprese fino a 9 addetti resta la
totale decontribuzione per assunzioni di apprendisti effettuate fino alla fine
del 2016).
Tali benefici valgono per la sola durata del percorso di apprendistato, senza protrarsi
per un ulteriore anno dopo la fine del periodo di apprendistato, come
vorrebbe la regola generale confermata con il decreto legislativo 81/2015 (art.
47, comma 7).
Sempre nell’ottica di favorire maggiormente
le tipologie di apprendistato ancora poco sviluppate (I° e III° livello),
abrogando l’art. 22, comma 2, della legge di stabilità 2012, viene meno la riserva del 50% delle
risorse da destinare alla formazione in apprendistato in favore del II° livello
(quello professionalizzante, fino ad oggi maggiormente praticato dalle
imprese).
Ultime disposizioni (comma 8) riguardano gli aspetti
assicurativi da definire con riferimento agli studenti che partecipano a percorsi di alternanza scuola-lavoro negli
anni 2016-2017. Per questi, con un
prossimo decreto ministeriale, su proposta dell’INAIL, dovrà essere elaborato
un apposito premio speciale unitario, che non tenga conto dei rischi lavorativi
riconducibili alla loro presenza in ambienti di lavoro (il suo ammontare
sarà più contenuto rispetto al valore che verrebbe fuori dai meri calcoli
attuariali e statistici dell’INAIL, nel limite però di minori entrate per
l’Istituto pari a 5 milioni di euro annui).
≈ ≈ ≈
(1) Nostra circolare n. 9 del 9 marzo 2015 – prot. n. 969