Circolari

Circ. n. 49/2015

Decreto legislativo n. 150 del 14 settembre 2015 Disposizioni per il riordino della normativa in materia di SERVIZI PER IL LAVORO e di POLITICHE ATTIVE, ai sensidell’articolo 1, comma 3, della legge 10 dicembre 2014, n. 183.(G.U. n. 221 del 23 settembre 2015 – S.O. n. 53).

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale degli ultimi 4 decreti attesi, si chiude e si completa la configurazione complessiva della riforma del mercato del lavoro, denominata JOBS ACT ed avviata, come noto, a dicembre dello scorso anno.  Come per i precedenti decreti attuativi, tratteremo i singoli atti normativi con circolari separate in base alle materie trattate.

Il decreto legislativo in oggetto, per la prima volta negli ultimi 15 anni, affronta il delicato tema dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, sul quale per molti anni Confcooperative ha chiesto attenzione e aggiornamento normativo.

Certamente si tratta di un primo passo positivo, sulla cui verifica d’efficacia sarà necessario attendere, da un lato il completamento operativo del nuovo disegno e, dall’altro, dati concreti sul collocamento, il ricollocamento e l’accompagnamento verso una migliore qualificazione del lavoro.

Infatti, con il decreto in oggetto si procede ad una SIGNIFICATIVA RICONFIGURAZIONE della materia, in maniera complementare rispetto ad altri interventi condotti soprattutto sul fronte dei licenziamenti, dei trattamenti di disoccupazione e degli ammortizzatori sociali.

Il decreto, composto da 35 articoli e formalmente in vigore dal 24 settembre 2015 - sebbene siano molte le norme che vincolano la loro operatività all’emanazione di ulteriori decreti – è articolato su 3 capitoli principali:

  • RETE DEI SERVIZI PER LE POLITICHE DEL LAVORO;

  • DEFINIZIONE DI PRINCIPI GENERALI SU POLITICHE ATTIVE;

  • RIORDINO DEGLI INCENTIVI ALL’OCCUPAZIONE.

     

Rete dei servizi per le politiche del lavoro (artt. 1- 17)

Con l’auspicio che, dopo vani tentativi condotti negli anni passati, si possano conseguire buoni risultati occupazionali in quest’ambito con adeguati livelli di incontro domanda-offerta, rileviamo come la macchina organizzativa chiamata a programmare e gestire servizi e politiche attive avrà bisogno di tempo e di nuovi provvedimenti attuativi prima di entrare pienamente in funzione.

Ci riferiamo in particolare alla costituenda Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (d’ora in poi ANPAL), operativa dal 2016 e deputata a coordinare, sotto l’indirizzo e il controllo del Ministero del Lavoro, la Rete nazionale dei servizi e delle politiche del lavoro (art. 1).

Compongono la rete, oltre che Regioni, INPS, INAIL, enti strumentali del Ministero (ISFOL e Italia Lavoro), agenzie per il lavoro di cui all’art. 4 della legge n. 276/2003 e altri soggetti autorizzati all’intermediazione di manodopera, università e scuole di 2° grado, anche i FONDI INTERPROFESSIONALI per la formazione continua (FONCOOP) costituiti dalle parti sociali nonché le Camere di Commercio.

L’intervento di ricomposizione in una AGENZIA NAZIONALE dei diversi attori che giocano un ruolo determinante sulle politiche attive del lavoro, comprese quelle formative, è apprezzabile per evitare la frammentazione generata dall’operato delle Regioni, per realizzare una maggiore integrazione con le politiche passive (con norme più severe di condizionalità e incrocio di banche dati) e per conseguire maggiori sinergie funzionali ad un uso ottimale delle risorse. Il nuovo assetto interessa, quindi, anche i fondi interprofessionali di cui alla legge 388/2000 (tra cui FONCOOP).

Da questo punto di vista il decreto attribuisce una serie di funzioni al Ministero del Lavoro e all’ANPAL così riassumibili:

  • al Ministero, anche su proposta dell’ANPAL, compete l’indirizzo sul sistema della formazione continua, compresa quella finanziata con i fondi interprofessionali (art. 2, comma 3, lett. c);

  • all’ANPAL compete la vigilanza sui fondi interprofessionali (art. 9, comma 1, lettera n);

  • per raccogliere e sistematizzare tutti i percorsi formativi svolti dai soggetti residenti in Italia nel fascicolo elettronico del lavoratore (art. 14), introdotto al posto del  libretto formativo di cui alla legge n. 276/2003 - mai effettivamente messo a regime - l’ANPAL realizzerà un sistema informativo della formazione professionale ricevendo dati provenienti anche dai fondi interprofessionali (art. 15). L’individuazione delle modalità e degli standard per il conferimento dei dati viene rimandata ad un successivo momento.

Da segnalare anche l’art. 17, che riformula l’art. 118, comma 2, della legge 388/2000, relativo al rilascio ai Fondi interprofessionali dell’autorizzazione ad operare da parte del Ministero del Lavoro, assegnando coerentemente la vigilanza sulla gestione degli stessi all’ANPAL.

Peraltro, in termini di finanziamenti, all’ANPAL sono dirottate gran parte delle risorse finanziarie fino ad oggi disperse su altri capitoli di spesa inerenti le politiche attive e la formazione, comprese una parte di quelle raccolte con il contributo dello 0,30% e “inoptate”, vale a dire non destinate ad alcun Fondo interprofessionale in assenza di specifica scelta dell’impresa (art. 5, comma 2).

Un capitolo distinto da quello relativo ai fondi interprofessionali, ma strettamente interconnesso, riguarda come noto la materia dell’accreditamento degli enti formativi: nella sua prima versione il decreto stabiliva che, ferma restando la competenza regionale su questo tema, il Ministero del Lavoro avrebbe provveduto a definire dei criteri a livello nazionale da rispettare. Nel decreto in vigore, invece, tale definizione è rimessa ad un’apposita intesa da sancire in Conferenza Stato-Regioni (art. 3, comma 4).

Sull’accreditamento delle agenzie e dei servizi per il lavoro (art. 12) la competenza resta delle Regioni/Province Autonome, che definiscono i propri regimi nel rispetto di criteri condivisi in Conferenza Stato-Regioni e poi contenuti in un apposito DM Lavoro.

In via sussidiaria all’ANPAL spetta il compito di istituire l’Albo nazionale dei soggetti accreditati, nel quale verranno iscritte le agenzie che vorranno operare su tutto il territorio nazionale e le agenzie che intendono operare in regioni dove non esiste alcun regime di accreditamento.

Più in generale, infatti, il ruolo di coordinamento a livello nazionale attribuito all’ANPAL (art. 1, comma 4) verrà esercitato facendo tuttavia salve le competenze delle Regioni che, in attesa della riforma costituzionale, restano di fatto invariate.

In termini di strumentazione si procederà alla stipula di una convenzione tra Ministero del Lavoro e ciascuna Regione/Provincia Autonoma (art. 11, comma 1), sulla falsariga di quanto avvenuto con la Garanzia Giovani

Tale convenzione sarà volta regolare i relativi rapporti e, soprattutto, a garantire il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni in tutto il territorio nazionale, così come stabiliti con apposito DM Lavoro, previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni (art. 2, comma 1, lett. b) – contestualmente con l’art. 34, comma 1, lett. e), viene abrogato il decreto legislativo 469/1997, fino ad oggi vigente, relativo al conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro.

In relazione al modello di governance disegnato per l’ANPAL evidenziamo che il futuro “Comitato di vigilanza”, chiamato a formulare proposte sulle linee di indirizzo generale e sugli obiettivi strategici dell’Agenzia e contestualmente a vigilare sugli stessi (art. 7, comma 4), sarà composto da esperti della materia designati dalle parti sociali (art. 6, comma 4).

Particolarmente significativa dal nostro punto di vista è anche la previsione di cui all’art. 3, comma 3, lett. b), che stabilisce la competenza del Ministero del Lavoro, su proposta dell’ANPAL, a definire specifiche linee di indirizzo per il collocamento dei disabili ex lege n. 68/1999, accanto ad orientamenti validi a livello più generale in materia di politiche attive.

Si tratta di una norma da leggere in stretta connessione con la complessiva opera di rivisitazione del collocamento mirato condotta, sempre in attuazione del JOBS ACT, con il decreto legislativo appena varato in materia di semplificazioni, nonché con il fatto che al collocamento dei disabili si applicano, in quanto compatibili, i principi generali in materia di politiche attive di cui sotto.

 

Principi generali in materia di politiche attive del lavoro (artt. 18-28)

Un primo aspetto degno di attenzione riguarda il coinvolgimento dei soggetti privati accreditati di cui possono avvalersi le Regioni (art. 18, comma 2).

Ciò sulla base di costi standard definiti dall’ANPAL, lasciando comunque all’utente facoltà di scelta e fatte salve alcune specifiche attività di competenza esclusiva dei Centri per l’Impiego pubblici, quali profilazione lavoratori disoccupati e definizione patto di servizio personalizzato (art. 20) e rilascio dell’assegno di ricollocazione (art. 23, comma 2).

Nella sostanza, però, stante quanto detto in merito all’accreditamento dei servizi per il lavoro e al coordinamento ANPAL-Regioni (regolazione dei rapporti tramite singole convenzioni e mantenimento attuali competenze), bisognerà capire se la facoltà di scelta degli utenti significherà effettiva apertura a soggetti privati nelle regioni dove non si è proceduto in questa direzione o se saranno mantenuti gli attuali orientamenti.

Quanto allo stato di disoccupazione (art. 19), il provvedimento, nel riformulare la relativa disciplina, attribuisce particolare importanza alla disponibilità del soggetto a partecipare alle misure di politica attiva, oltre che a lavorare, introducendo, anche qui in analogia a quanto fatto con la Garanzia Giovani, il concetto di profilazione dell’utenza (basata sul livello di occupabilità del singolo, cioè sulla sua probabilità di trovare una nuova occupazione).

Altro passaggio chiave è rappresentato dalla definizione di meccanismi vincolanti - c.d. condizionalità - perché i beneficiari di trattamenti di disoccupazione (tra tutti NASpI, ma anche vecchia ASpI, DIS-COLL, ASDI, indennità di mobilità) e di ammortizzatori sociali con riduzione d’orario superiore al 50% nell’ambito di un periodo di 12 mesi (CIGO, CIGCS, contratti o fondi di solidarietà) si presentino ai Centri per l’Impiego e partecipino alle iniziative loro proposte, pena la decurtazione degli importi spettanti o la decadenza dalle prestazioni (cfr. rispettivamente artt. 21 e 22).

In particolare, per i beneficiari di ammortizzatori sociali esiste l’obbligo di presentarsi alle convocazioni dei Centri per l’Impiego in orari compatibili con la prestazione lavorativa e, nel loro caso, i CPI al momento di definire il patto di servizio, possono valutare sentito il datore di lavoro l’eventuale coinvolgimento/concorso dei fondi interprofessionali per la formazione continua (art. 22, comma 2) o prevedere anche lo svolgimento di attività di pubblica utilità a beneficio della comunità territoriale di appartenenza (art. 26)

In generale, servirà un po’ di tempo per verificare come verranno concretamente attuate tali disposizioni dai Centri per l’Impiego, visto che alcune riprendono in maniera più puntuale e cogente analoghe norme dettate in passato per integrare politiche passive e attive, ma forse mai effettivamente rispettate (stessa cosa dicasi per i tempi entro cui – 30 giorni – i CPI devono convocare gli interessati per la definizione del patto di servizio personalizzato di cui all’art. 20).

L’aver ora previsto (art. 21, comma 11) che la mancata adozione dei provvedimenti di decurtazione/decadenza dalla prestazione determina una responsabilità disciplinare e contabile in capo al funzionario pubblico responsabile potrebbe rappresentare da questo punto di vista una novità, così come, sempre in tale direzione, la destinazione alle Regioni, per incentivare il proprio personale, del 50% degli eventuali risparmi prodotti dai medesimi provvedimenti (art. 21, comma 13).

Analoghi meccanismi sanzionatori con decadenza dalla prestazione si applicano anche per i casi di rifiuto di un’offerta di lavoro congrua, così come definite dall’art. 25.

Particolare attenzione va quindi posta sul nuovo ASSEGNO di RICOLLOCAZIONE (art. 23) che viene rilasciato dai Centri per l’Impiego ai soggetti beneficiari della NASpI disoccupati da più di 4 mesi che ne abbiano fatto richiesta.

Le nuove disposizioni sostituiscono quelle in precedenza contenute nel decreto legislativo 22/2015(1) (art. 17, commi da 2 a 7) – ora abrogate - che già alcuni mesi fa avevano introdotto il contratto di ricollocazione con destinatari tutti i soggetti disoccupati e non solo quelli da più di 4 mesi (istituto ma non ancora a regime, perché in attesa dell’emanazione di ulteriori decreti, compreso quello sulle politiche attive qui in commento).

L’assegno di ricollocazione si configura quindi uno strumento dedicato ad una platea circoscritta di disoccupati, in presenza del quale si viene a configurare un particolare percorso di assistenza alla ricollocazione con sospensione del patto di servizio personalizzato in precedenza sottoscritto (gli interessati devono farne domanda proprio presso il Centro per l’Impiego dove hanno sottoscritto il loro patto di servizio).

L’assegno diventerà operativo dopo che il CdA dell’ANPAL avrà definito il suo effettivo ammontare e le relative modalità attuative.

La sua durata è invece già stabilita in 6 mesi, prorogabile per altri 6 mesi se l’assegno non è stato ancora consumato per intero.

L’assegno, irrilevante ai fini fiscali e non assoggettato a contribuzione previdenziale/assistenziale, sarà comunque di un importo graduato in funzione della classe di profilazione attribuita al soggetto (presumibilmente, come avvenuto per la Garanzia Giovani, più elevato in presenza di una maggiore difficoltà a trovare una nuova occupazione) e potrà essere speso presso i Centri per l’Impiego o presso i servizi privati accreditati entro 2 mesi dal suo riconoscimento, pena la decadenza dalla NASpI e dallo stato di disoccupazione.

Nel darne attuazione l’ANPAL dovrà peraltro prestare attenzione al riconoscimento dell’assegno prevalentemente al risultato occupazionale ottenuto.

Inoltre, anche in questo caso vigono particolari meccanismi di condizionalità con decurtazione/decadenza dalla prestazione in assenza di adesione alle iniziative proposte dai servizi per il lavoro o per la mancata accettazione di una congrua offerta di lavoro.

Un ultimo aspetto riguarda il suo finanziamento visto che l’assegno di ricollocazione potrà essere rilasciato nei limiti delle risorse assegnate alla Regione/Provincia Autonoma di residenza.

Al finanziamento dell’assegno di ricollocazione (art. 24) concorrono:

        • il Fondo per le politiche attive istituito presso il Ministero ai sensi della legge di stabilità 2014, inizialmente destinato al finanziamento dell’abrogato contratto di ricollocazione (che vanta una dotazione di 52 milioni per il 2015 e 20 milioni per il 2016);

        • risorse provenienti dai programmi operativi cofinanziati con i fondi strutturali europei (FSE), in una misura ancora da determinare ma comunque nel rispetto dei regolamenti comunitari;

        • il versamento all’ANPAL da parte dell’INPS di una quota pari al 30% delle indennità mensili residue che sarebbero spettate a ciascun soggetto percettore della NASpI, poi assunto a tempo indeterminato. Si segnala che queste ultime risorse derivano da una contestuale riformulazione dell’art. 2, comma 10-bis, della legge 92/2012, che fissa al 20% e non più al 50% dell’indennità l’incentivo da riconoscere al datore di lavoro che procede all’assunzione a tempo indeterminato del disoccupato che percepisce la NASpI – considerando solo le mensilità residue e non godute dallo stesso.

 

Riordino degli incentivi all’occupazione (artt. 29-32)

Un primo intervento (art. 29) riguarda l’abrogazione degli incentivi per le assunzioni di giovani disoccupati a tempo indeterminato di cui all’art. 1 del D.L. 76/2013 (di fatto ormai superati sia perché riguardavano i contratti stipulati entro lo scorso mese di giugno sia per il maggior successo riscosso dal bonus occupazionale introdotto con l’ultima legge di stabilità).

Le risorse non ancora utilizzate su questo strumento, insieme a quelle destinate fino ad ora alle Regioni per sovvenzionare progetti formazione dei lavoratori ai sensi dell’art. 6, comma 4, della legge 53/2000 (abrogato anch’esso in base all’art. 32, comma 5), sono dirottate per la creazione di un apposito piano gestionale per il finanziamento di politiche attive.

È quindi istituito presso l’ANPAL un repertorio nazionale degli incentivi all’occupazione (art. 30), ricomprendendo tra questi tutti “i benefici normativi o economici riconosciuti ai datori di lavoro in relazione all’assunzione di specifiche categorie di lavoratori”.

Tale albo, per la cui alimentazione Regioni/Province Autonome sono tenute a comunicare all’ANPAL l’introduzione di qualsiasi nuovo incentivo, conterrà, per ciascuno di essi, informazioni chiave come categorie di lavoratori e datori interessati, importo e durata e modalità di erogazione.

Sempre l’art. 30 (comma 4) stabilisce che di regola la fruizione degli incentivi avviene attraverso conguaglio con i contributi previdenziali.

Con l’art. 31, invece, si riprendono principi generali di fruizione degli incentivi già espressi con la legge 92/2012 o con precedenti disposizioni, ora abrogate in quanto sostituite, per cui trovano ad esempio conferma sia l’impossibilità di beneficiare di incentivi se l’assunzione agevolata è conseguenza di obblighi normativi/contrattuali sia il rispetto del diritto di precedenza da riconoscere ad un ex dipendente dell’impresa.

Emergono tuttavia alcune novità, tra cui preme segnalare:

  • l’impossibilità per i datori di lavoro che hanno alle proprie dipendenze lavoratori sospesi per crisi o riorganizzazione di impiegare, nella stessa unità produttiva, nuovi lavoratori inquadrati allo stesso livello rispetto quello posseduto dai lavoratori sospesi: fino ad oggi il veto era su lavoratori con la stessa professionalità – la modifica si pone in sintonia con la nuova disciplina sulle mansioni apportata, sempre in applicazione del Jobs Act, dall’art. 3 del decreto legislativo 81/2015 (2);

  • precisazioni in via normativa (e non più attraverso circolari e interpelli) sul fatto che il requisito dell’incremento occupazionale netto della forza lavoro mediamente occupata, laddove richiesto, si calcola mensilmente, confrontando il numero di lavoratori dipendenti equivalente a tempo pieno (c.d. full time equivalent – FTE) del mese di riferimento con quello medio dei 12 mesi precedenti.

Le norme più significative in materia di incentivi riguardano sicuramente l’APPRENDISTATO DI I° e III° LIVELLO – tipologie ancora poco utilizzate dalle imprese – nell’ottica di sviluppare un effettivo sistema di alternanza scuola-lavoro (cd. sistema duale).

Da questo punto vista l’art. 32, facendo seguito alle novità già introdotte con il decreto legislativo 81/2015, e parallelamente ad un leggero aumento delle risorse destinate a percorsi scolastici/formativi che fanno leva sul primo livello (comma 3), stabilisce che per i contratti di apprendistato per la qualifica, il diploma e il certificato di specializzazione tecnica (I° livello) e di alta formazione e ricerca (III° livello) stipulati a partire dall’entrata in vigore del decreto e fino a tutto il 2016:

  • NON si pagherà la c.d. TASSA DI LICENZIAMENTO;

  • NON si pagherà la CONTRIBUZIONE ASpI e il contributo dello 0,30% destinato alla formazione continua e ai fondi interprofessionali;

  • l’ALIQUOTA contributiva per gli apprendisti, pari in via generale al 10% (cui si aggiunge il contributo ASpI dell’1,31%), è ridotta al 5% - vale ricordare che rispetto all’aliquota ordinaria per le imprese fino a 9 addetti resta la totale decontribuzione per assunzioni di apprendisti effettuate fino alla fine del 2016).

Tali benefici valgono per la sola durata del percorso di apprendistato, senza protrarsi per un ulteriore anno dopo la fine del periodo di apprendistato, come vorrebbe la regola generale confermata con il decreto legislativo 81/2015 (art. 47, comma 7).

Sempre nell’ottica di favorire maggiormente le tipologie di apprendistato ancora poco sviluppate (I° e III° livello), abrogando l’art. 22, comma 2, della legge di stabilità 2012, viene meno la riserva del 50% delle risorse da destinare alla formazione in apprendistato in favore del II° livello (quello professionalizzante, fino ad oggi maggiormente praticato dalle imprese).

Ultime disposizioni (comma 8) riguardano gli aspetti assicurativi da definire con riferimento agli studenti che partecipano a percorsi di alternanza scuola-lavoro negli anni 2016-2017. Per questi, con un prossimo decreto ministeriale, su proposta dell’INAIL, dovrà essere elaborato un apposito premio speciale unitario, che non tenga conto dei rischi lavorativi riconducibili alla loro presenza in ambienti di lavoro (il suo ammontare sarà più contenuto rispetto al valore che verrebbe fuori dai meri calcoli attuariali e statistici dell’INAIL, nel limite però di minori entrate per l’Istituto pari a 5 milioni di euro annui).

   










(1) Nostra circolare n. 9 del 9 marzo 2015 – prot. n. 969

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