1.
CAMPO DI APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA IN MATERIA DI RIFIUTI
riferimenti normativi:
- Articoli 183, 184-bis d.lgs. n.152/06;
- DM 13 ottobre 2016, n. 264, Regolamento
recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei
requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non
come rifiuti;
- Comunicazione COM (2007) 59 def., del 21
febbraio 2007
- Commissione
europea – Direzione generale Ambiente (2013): Guidance on the interpretation of
key provisions of Directive 2008/98/EC on waste (di seguito: Linee guida europee)
(http://ec.europa.eu/environment/waste/framework/pdf/guidance_doc.pdf)
L’articolo 183, comma 1, lettera a) del d.lgs. n.152/06, definisce
rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia
l’intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi”.
Preliminarmente, occorre distinguere un prodotto da un residuo di
produzione.
Con la comunicazione COM (2007)
59 def., la Commissione europea aveva pubblicato delle Linee guida con lo scopo di fornire alcuni elementi di riferimento,
utili per garantire una corretta
applicazione della direttiva in materia di rifiuti e, in particolare, agevolare
la distinzione tra i rifiuti ed i cosiddetti sottoprodotti.
Nella Comunicazione si distinguono i concetti di:
- prodotto, inteso come ogni
materiale che si ottiene deliberatamente nell'ambito di un processo di
produzione;
- residuo
di produzione, inteso come materiale che non è ottenuto
deliberatamente nell'ambito di un processo di produzione, ma che può costituire
un rifiuto;
- sottoprodotto,
inteso come un residuo di produzione che non costituisce un rifiuto.
La Commissione
precisa che, al momento di decidere se un materiale costituisce un rifiuto o
meno, occorre, innanzitutto, chiedersi se il fabbricante ha deliberatamente
scelto di produrlo. Infatti, se il fabbricante avesse potuto fabbricare il
prodotto principale senza ottenere detto materiale, ma ha, comunque, scelto di
farlo, è evidente che non si tratta di un residuo di produzione, ma di un
prodotto vero e proprio.
Una prova del fatto
che il materiale può essere il risultato di una scelta tecnica è data, a titolo
di esempio, dalla modifica del processo di produzione, per conferire a tale
materiale caratteristiche tecniche specifiche.
Una volta accertato
che il materiale non rappresenta un prodotto, ma un residuo di produzione, deve
essere valutato se tale “scarto” possa essere considerato come sottoprodotto o
se, invece, debba essere gestito come rifiuto.
Le linee guida
pubblicate nel 2012, quindi (documento in Allegato 1), a seguito della
pubblicazione della direttiva 2008/98/CE confermano gli stessi principi,
distinguendo tra:
- prodotto: tutto il materiale creato deliberatamente
in un processo di produzione. In molti casi è possibile identificare uno (o
più) prodotti "primari", questo o questi essendo il materiale/i
principale/i prodotto/i;
- residuo di produzione: un materiale che non è prodotto
deliberatamente in una produzione processo, ma può o non può essere un rifiuto.
Alla domanda se un
materiale o una sostanza sia un residuo di produzione o un prodotto la
Comunicazione europea fornisce la seguente risposta:
“Un residuo di
produzione è qualcosa di diverso dal prodotto finale che il processo di
produzione cerca direttamente di produrre. Quando la produzione del materiale
in questione è il risultato di una scelta tecnica, non può essere un residuo di
produzione ed è considerato un prodotto.
Se il produttore avesse potuto produrre il prodotto primario senza
produrre il materiale in questione ma ha scelto di non farlo, questo può essere
la prova che il materiale in questione lo è un prodotto e non un residuo di
produzione. Inoltre, una modifica del processo di produzione al fine di fornire
al materiale in questione caratteristiche tecniche specifiche potrebbe indicare
che la produzione del materiale in questione è stata una scelta tecnica”.
Le distinzioni
indicate sono chiaramente riportate anche nell’articolo 2 del DM n.264 del 2016
che definisce:
a)
prodotto: ogni materiale o sostanza che è ottenuto deliberatamente
nell'ambito di un processo di produzione o risultato di una scelta tecnica. In
molti casi è possibile identificare uno o più prodotti primari;
b) residuo di produzione: ogni materiale o sostanza
che non è deliberatamente prodotto in un processo di produzione e che può
essere o non essere un rifiuto;
c) sottoprodotto: un residuo di produzione
che non costituisce un rifiuto ai sensi dell'articolo 184-bis del decreto legislativo
n. 152 del 2006.
riferimenti normativi:
- Articolo 183
d.lgs. n.152/06
L’articolo 183, comma 1, lettera a) del d.lgs. n.152/06, definisce
rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia
l’intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi”.
Nella giurisprudenza comunitaria e nelle linee guida europee è chiarito
che il termine chiave della definizione di rifiuto è "disfarsi", utilizzato nelle tre
alternative: qualsiasi sostanza o oggetto di cui il detentore:
a)
si disfa: descrive
un'azione o un'attività del titolare della sostanza o dell’oggetto;
b)
intende disfarsi: descrive
una intenzione del titolare. La
giurisprudenza comunitaria ha chiarito che l'intenzione del titolare, che deve
essere dedotta dalle sue azioni alla luce degli obiettivi della direttiva e dei
criteri forniti dalla Corte di giustizia, va svolta caso per caso, non potendo
essere valutata a priori ed è quindi, alla fine, un test oggettivo (cfr. meglio
paragrafo 1.4. per la qualifica come sottoprodotto);
c)
è obbligato a disfarsi: c’è un obbligo
legale di disfarsi della sostanza o dell’oggetto, in considerazione di una
specifica disciplina della particolare natura della sostanza.
Per una serie di situazioni quotidiane, l'attribuzione delle azioni e
delle attività di un titolare ad una delle tre alternative di "disfarsi"
e quindi la classificazione di una sostanza o di un oggetto come un rifiuto è
un compito facile.
Come chiarito dalle Linee guida comunitarie, ad esempio, un oggetto gettato in un bidone della spazzatura o comunque
conferito ad un sistema di recupero o di smaltimento di rifiuti è chiaramente scartato
e così è considerato rifiuto.
D'altra parte, per un numero di casi e in una gamma molto ampia di circostanze,
rimane incertezza.
In merito, la Corte di giustizia, in più
occasioni, ha evidenziato come, sostanzialmente, il campo di applicazione della
nozione di rifiuto dipenda dal significato del termine “disfarsi” e come tale
valutazione vada effettuata, non in via generale o per categorie di prodotti,
ma di volta in volta, avendo riguardo alle concrete specifiche circostanze del
caso in esame.
In particolare, <st1:personname w:st="on" productid="la Corte">la Corte
di giustizia ha, nel corso di diversi interventi, elaborato alcuni principi:
-
il
verbo “disfarsi” deve essere interpretato alla luce della finalità della
direttiva – quali la tutela della salute umana e dell'ambiente contro gli
effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell'ammasso e
del deposito dei rifiuti - ma anche alla luce dell'art. 174, n. 2, CE, secondo
il quale la politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato
livello di tutela ed è fondata in particolare sui principi della precauzione e
dell'azione preventiva. Ne consegue che la nozione di rifiuto non può essere
interpretata in senso restrittivo;
-
l’uso,
da parte del legislatore nazionale, di modalità di prova come le presunzioni iuris et de iure, che abbiano l’effetto
di restringere l’ambito di applicazione della direttiva escludendone sostanze,
materie o prodotti che rispondono alla definizione del termine “rifiuti” ai
sensi della direttiva potrebbe pregiudicare l’efficacia dell’art.130 R del
Trattato e della direttiva;
-
non è
rilevante la riutilizzazione economica di una sostanza al fine di escludere la
sua inclusione tra i rifiuti neanche se i materiali di cui trattasi possono
costruire oggetto di un contratto, ovvero di una quotazione in listini
commerciali pubblici o privati;
-
la questione di stabilire se una determinata sostanza sia un rifiuto
deve essere risolta alla luce del complesso delle circostanze;
- il sistema di sorveglianza e di gestione
istituito dalla direttiva rifiuti intende riferirsi a tutti gli oggetti e le
sostanze di cui il proprietario si disfa, anche se essi hanno un valore
commerciale e sono raccolti a titolo commerciale a fini di riciclo, di recupero
o di riutilizzo;
-
la
direttiva sui rifiuti si applica anche allo smaltimento ed al recupero di
rifiuti ad opera dell'impresa che li ha prodotti, nei luoghi di produzione;
-
gli
allegati della direttiva sono volti a ricapitolare le operazioni di smaltimento
e di recupero così come esse sono effettuate in pratica. Tuttavia, dal fatto
che nei detti allegati vengano descritti metodi di smaltimento o di recupero
dei rifiuti non consegue necessariamente che qualunque sostanza trattata con
uno di tali metodi debba essere considerata un rifiuto. Infatti, benché le
descrizioni di taluni dei metodi facciano riferimento esplicito a rifiuti,
altre sono invece formulate in termini più astratti, potendo quindi essere
applicate a materie prime che non sono rifiuti. Pertanto, dal semplice fatto
che su una sostanza venga eseguita un'operazione menzionata negli allegati della
direttiva che elencano le operazioni di recupero o di smaltimento, non discende
automaticamente che l'operazione consiste nel disfarsene e che pertanto la
detta sostanza vada considerata un rifiuto ai sensi della direttiva;
-
anche
se un rifiuto è stato oggetto di un'operazione di recupero completo che
comporti che la sostanza di cui trattasi ha acquisito le stesse proprietà e
caratteristiche di una materia prima, ciò nondimeno tale sostanza può essere
considerata un rifiuto se, conformemente alla definizione della direttiva, il
detentore della sostanza se ne disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di
disfarsene;
-
non vi è alcuna giustificazione per assoggettare
alle disposizioni che sono destinate a prevedere lo smaltimento o il recupero
dei rifiuti, beni, materiali o materie prime che dal punto di vista economico
hanno valore di prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e che,
in quanto tali, sono soggetti alla normativa applicabile a tali prodotti. Tuttavia,
tenuto conto dell'obbligo di interpretare in maniera estensiva la nozione di
rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni dovuti alla loro natura,
occorre circoscrivere tale argomentazione, relativa ai sottoprodotti, alle
situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia
prima non sia solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare e nel
corso del processo di produzione. Oltre al criterio derivante dalla natura o
meno di residuo di produzione di una sostanza, il grado di probabilità di
riutilizzo di tale sostanza, senza operazioni di trasformazione preliminare,
costituisce un secondo criterio utile ai fini di valutare se essa sia o meno un
rifiuto. Se, oltre alla mera possibilità di riutilizzare la sostanza, il
detentore consegue un vantaggio economico nel farlo, la probabilità di tale
riutilizzo è alta. In un'ipotesi del genere la sostanza in questione non può
più essere considerata un ingombro di cui il detentore cerchi di «disfarsi»,
bensì un autentico prodotto.
Questi principi fondamentali, enunciati dalla Corte di Giustizia, non
consentono un’indicazione statica, chiara a precisa del confine tra ciò che è
rifiuto e ciò che non lo è, ma rappresentano, per stessa ammissione della
Corte, niente più che una serie di “indizi”, suscettibili di diversa lettura in
relazione all’eventuale differente contesto di riferimento. Né potrebbe essere
altrimenti, se si considera che dei parametri individuati per distinguere un
rifiuto da un non rifiuto il criterio “tabellare”, vale a dire l’inclusione
della sostanza o dell’oggetto negli allegati delle direttive di riferimento ha
natura indicativa, mentre assume valore determinante la valutazione
sull’elemento “soggettivo” della definizione (il fatto, l’obbligo, la volontà
di disfarsi).
Alla domanda su quale sia il rapporto tra la definizione di rifiuto e
l'Elenco dei rifiuti le Linee guida europee forniscono la seguente risposta: l'articolo
7 della direttiva quadro chiarisce che solo perché una sostanza o un oggetto
compare nell'elenco della decisione sui rifiuti (2000/532/CE), ciò non
significa che si tratti di rifiuti in tutte le circostanze. È rifiuto solo
se la definizione “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfa,
o intende disfarsi o di cui è necessario disfarsi” è soddisfatta.
L’articolo 184, comma 5 del decreto legislativo n.152 del 2006, quindi,
chiarisce espressamente che: “l’inclusione di
una sostanza o di un oggetto nell’elenco non significa che esso sia un rifiuto
in tutti i casi, ferma restando la definizione di cui all’ articolo 183”.
riferimenti normativi:
- Articoli 183 e
185 d.lgs. n.152/06
L’articolo 185
disciplina due tipologie di esclusioni dal campo di applicazione della
disciplina in materia di rifiuti:
-
le esclusioni tout court,
-
le esclusioni condizionate dalla presenza di
un’altra disciplina di riferimento.
Ai sensi
dell’articolo 185 del codice ambientale sono
esclusi dal campo di applicazione
della disciplina in materia di rifiuti:
a) le emissioni costituite da
effluenti gassosi emessi nell'atmosfera e il biossido di carbonio catturato e
trasportato ai fini dello stoccaggio geologico e stoccato in formazioni
geologiche prive di scambio di fluidi con altre formazioni (a norma del decreto
legislativo di recepimento della direttiva 2009/31/CE in materia di stoccaggio
geologico di biossido di carbonio);
b) il terreno (in situ), inclusi
il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al
terreno, fermo restando quanto previsto relativamente alla bonifica di siti
contaminati;
c) il suolo non contaminato e
altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di
costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione
allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato. Per il suolo
escavato non contaminato e altro materiale allo stato naturale, utilizzati in
siti diversi da quelli in cui sono stati escavati, deve essere valutato se sia
integrata, nell’ordine, la nozione di rifiuto, la nozione di sottoprodotto o
quella di end of waste;
d) i rifiuti radioattivi;
e) i materiali esplosivi in
disuso;
f) le materie fecali, se non
contemplate dal comma 2, lettera b), del medesimo articolo, la paglia e altro
materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali, a titolo
esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuati
nell'ambito delle buone pratiche colturali, utilizzati in agricoltura, nella
silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori
del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi
che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana;
g) i sedimenti spostati all’interno di acque superficiali o nell'ambito delle
pertinenze idrauliche ai fini della gestione delle acque e dei corsi d’acqua o
della prevenzione di inondazioni o della riduzione degli effetti di inondazioni
o siccità o ripristino dei suoli se è provato che i sedimenti non sono
pericolosi;
Sono esclusi
dall’ambito di applicazione della normativa in materia di rifiuti, in quanto regolati da altre disposizioni normative
comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di
recepimento:
a) le acque di scarico;
b) i sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati,
contemplati dal regolamento (CE) n. 1774/2002, eccetto quelli destinati
all’incenerimento, allo smaltimento in discarica o all’utilizzo in un impianto
di produzione di biogas o di compostaggio;
c) le carcasse di animali morti
per cause diverse dalla macellazione, compresi gli animali abbattuti per
eradicare epizoozie, e smaltite in conformità del regolamento (CE) n.
1774/2002;
d) i rifiuti risultanti dalla
prospezione, dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali
o dallo sfruttamento delle cave (decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 117);
d-bis) le sostanze destinate a essere utilizzate come materie prime per
mangimi di cui all'articolo 3, paragrafo 2, lettera g), del regolamento (CE) n.
767/2009 e che non sono costituite né contengono sottoprodotti di origine
animale.
Quest’ultima
categoria rappresenta una novità recente, essendo stata inserita nell’articolo
185 ad opera del decreto legislativo n.116 del 2020.
Con specifico
riferimento ai rifiuti in esame, l'articolo 185, comma 1 del decreto
legislativo n.152/06 prevede che non rientrano nel campo di applicazione della
parte quarta del decreto, tra l'altro, le materie fecali, quando non
contemplate dal comma 2 del medesimo articolo.
Il comma 2 citato
stabilisce che sono esclusi dal campo di applicazione della parte IV del
decreto sui rifiuti, soltanto in quanto disciplinati da altre disposizioni
comunitarie, tra le altre sostanze, i sottoprodotti di origine animale
contemplati nel Regolamento CE n.1774/2002, eccetto quelli destinati
all’incenerimento, allo smaltimento in discarica o all’utilizzo in un impianto
di produzione di biogas e compostaggio.
Al riguardo, il
regolamento 1774/2002, ora abrogato e sostituito dal regolamento 1069/2009,
contiene le norme sanitarie e non ambientali che disciplinano la gestione dei
sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano, tra i quali lo
stallatico, vale a dire gli escrementi e/o l'urina di animali di allevamento,
con o senza lettiera, o il guano non trattati oppure trattati conformemente al
capitolo III dell'allegato VIII o altrimenti trasformati in un impianto di
produzione di biogas o in un impianto di compostaggio.
Sul significato di
questa esclusione è intervenuto il regolamento comunitario n.142/2011 che, nel
disciplinare nel dettaglio le fattispecie di gestione dei sottoprodotti
animali, chiarisce che l'articolo 2, paragrafo 2, lettera b) della direttiva
2008/98/CE “esclude dal suo campo di applicazione taluni elementi qualora
essi siano già contemplati da altre normative dell'Unione, tra cui i
sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati contemplati
dal regolamento (CE) n. 1774/2002 … fatta eccezione per quelli destinati
all'incenerimento, allo smaltimento in discarica o all'utilizzo in un impianto
di produzione di biogas o di compostaggio. Tale regolamento è stato abrogato e
sostituito con il regolamento (CE) n. 1069/2009 con decorrenza dal 4 marzo
2011. Nell'interesse della coerenza della legislazione dell'Unione, i processi
volti a trasformare sottoprodotti di origine animale e prodotti derivati in
biogas o in compost devono essere conformi alle norme sanitarie del presente
regolamento, nonché alle misure di tutela ambientale di cui alla direttiva
2008/98/CE”.
Pertanto, deve
ritenersi che la qualificazione delle materie fecali come rifiuti, o come
materiali esclusi, o come sottoprodotti deve essere effettuata nel rispetto
delle disposizioni ambientali contenute nella Parte IV, valutando, di volta n
volta, se sussistano o meno le condizioni per la qualifica come sottoprodotti,
o come rifiuti.
La Corte di Cassazione penale è intervenuta di recente in
argomento fissando alcuni principi di riferimento (cfr. Cass. Sez. III Pen. 2
novembre 2020, n. 30299) e precisando, in particolare che: “la esclusione
delle materie fecali dalla disciplina dei rifiuti di cui al d.lgs. n. 152 del
2006 è subordinata alla condizione che esse provengano da attività agricola e
che siano effettivamente riutilizzate nella stessa attività. L’utilizzo dei
liquami rivenienti dai materiali fecali di origine agricola (ed è il caso di
precisare che la origine agricola è tale da comprendere ogni origine che sia
derivante da un uso agricolo, anche connesso al loro allevamento, degli animali
terricoli) è tale da far escludere per gli stessi la qualificazione in termini
di rifiuti in quanto gli stessi siano utilizzati sotto forma di concime sia
attraverso il loro generico spandimento, sia attraverso la pratica della fertirrigazione
(in relazione alla quale pratica, onde definirne il contenuto, si precisa che
essa consiste nella concimazione dei campi utilizzando quale vettore del
fertilizzante, anche naturale - id est: il letame, cioè la materia fecale
agricola - l’acqua); in ambedue i casi, tuttavia, la esclusione di cui sopra si
verifica in quanto ricorrano le seguenti condizioni: che vi sia una
coltivazione effettivamente in atto; che per qualità, per quantità e per le
modalità della loro l’applicazione l’uso degli effluenti risulti congruo
rispetto allo scopo”.
Occorre precisare che, nell’ipotesi in cui non sia possibile
dimostrare la sussistenza dei requisiti per l’esclusione dal campo di
applicazione ai sensi del citato articolo 185, rimane comunque possibile dimostrare
la sussistenza dei requisiti richiesti dall’articolo 184-bis per la
qualifica come sottoprodotto.
Diversamente, il materiale deve essere considerato come
rifiuto.
La direttiva 2008/98 esclude dal campo di
applicazione dei rifiuti ….”paglia e altro materiale agricolo o forestale
naturale non pericoloso utilizzati nell’attività agricola, nella selvicoltura o
per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che
non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.
Questa esclusione, riportata nel codice
ambientale all’articolo 185, è stata interpretata, in passato, da alcune
Province nel senso che l’esclusione fosse applicabile soltanto ai materiali
derivanti da attività agricola, mentre in tutti gli altri casi gli stessi
materiali erano da considerarsi rifiuti. Si è, quindi, determinato un equivoco
interpretativo anche a seguito di un parere non completo rilasciato dal
Ministero dell’ambiente alla Provincia di Mantova. In particolare, con la nota prot. 8890/TRI/DI
del 18 marzo 2011, la allora competente Direzione generale del Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha fornito alcuni
chiarimenti sul regime degli sfalci di potatura, indicando in quali ipotesi la
gestione di tali residui debba essere effettuata ai sensi della normativa
rifiuti. Segnatamente, nel parere veniva precisato come la norma in materia di
esclusioni dovesse ritenersi applicabile soltanto a sfalci, potature ed altri
materiali provenienti da attività agricola o forestale e destinati agli
utilizzi descritti, non comprendendo, invece, i rifiuti vegetali provenienti da
aree verdi quali giardini, parchi e aree cimiteriali, da ritenere soggetti alle
disposizioni della Parte IV del codice ambientale e da classificare come
rifiuti urbani.
Con riferimento a tali materiali, non
risultando essere stata precisata espressamente, nel parere, la possibilità,
indipendentemente dalla provenienza, di dimostrare la sussistenza dei requisiti
previsti dalla normativa per la qualifica degli stessi come sottoprodotti e non
come rifiuti - possibilità comunque riconosciuta dall’articolo 5 della
direttiva quadro 2008/98/CE e dall’articolo 184-bis del decreto legislativo
n.152 cit. di recepimento – il Ministero dell’ambiente è intervenuto con un ulteriore
parere di chiarimento, formulato in risposta ad un espresso quesito della Fiper
(Federazione italiana produttori di energia da fonti rinnovabili).
Nel dettaglio, con nota 6038/RIN del
27 maggio 2015, il Ministero è intervenuto per completare le conclusioni della
precedente comunicazione, precisando che anche per i residui derivanti da
attività di sfalcio e di potatura che non rientrino nell'esclusione
dell'articolo 185 citato, è comunque possibile dimostrare la sussistenza dei
requisiti per la qualifica degli stessi come sottoprodotti ai sensi
dell'articolo 184-bis del decreto legislativo n.152 del 2006.
Nel frattempo, l’articolo 185 è stato
modificato nel 2016 (art. 41, comma 1, L. 28 luglio 2016, n. 154) e nel 2019
(art. 20, comma 1, L. 3 maggio 2 019, n.
37), includendo nell’esclusione, espressamente, anche i residui di manutenzione
del verde pubblico dei comuni.
La norma è stata oggetto di richiesta di
chiarimenti da parte della Commissione europea.
Con il decreto 116 del 2020 di recepimento
della direttiva rifiuti n.851/2018, sono state, quindi, apportate alcune
modifiche, eliminando l’inciso riferito alle manutenzioni del verde urbano.
Parallelamente, le manutenzioni del verde urbano sono state inserite
nell’elenco dei rifiuti urbani (articolo 183 del codice ambientale).
La versione vigente dell’articolo 185 del
codice ambientale prevede così:
Sono esclusi……”la paglia e altro
materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali, a titolo esemplificativo
e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuati nell'ambito delle buone
pratiche colturali utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la
produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di
produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non
danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.
Deve quindi ritenersi che:
-
sono
esclusi dal campo di applicazione della normativa in materia di rifiuti gli
sfalci e le potature effettuati nell'ambito delle buone pratiche colturali
utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da
tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a
terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in
pericolo la salute umana;
-
rimane
possibile dimostrare la sussistenza dei requisiti richiesti dall’articolo
184-bis per la qualifica come sottoprodotti, per i materiali che non rientrano
nell’esclusione e per i quali non vi sia un obbligo di conferimento ad un
sistema di gestione dei rifiuti.
Considerate, infatti, le disposizioni
contenute nell’articolo 7 della direttiva quadro e nell’articolo 184 del codice
ambientale - che precisano che “l’inclusione di una sostanza o di un oggetto
nell’elenco non significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi” e che “una
sostanza o un oggetto è considerato un rifiuto solo se rientra nella
definizione di” rifiuto - nonché le
precisazioni effettuate nel parere del Ministero dell’ambiente, l’inclusione
dei residui di manutenzione del verde nell’elenco dei rifiuti urbani non
comporta che questi debbano essere necessariamente sempre considerati tali,
potendo comunque essere dimostrata la natura di sottoprodotto. A tale
conclusione non osta il fatto che i residui siano prodotti nell’ambito di una
attività di servizio o di manutenzione, in quanto la circolare ministeriale
esplicativa del D.M. n.264 del 2016, in materia di sottoprodotti, chiarisce
espressamente che anche tali tipologie di attività rientrano nell’ambito delle
attività produttive.
riferimenti normativi:
- Articoli
183 e 184-bis d.lgs. n.152/06
- DM
13 ottobre 2016, n. 264, Regolamento recante criteri indicativi per agevolare
la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui
di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti;
- Circolare
Ministero dell’ambiente 30 maggio 2017 prot.n. 7619 (in Allegato 2)
Alcuni materiali possono essere gestiti come non rifiuti, quando
sia possibile dimostrare che ricorrono le condizioni per qualificarli quali sottoprodotti.
L’articolo 5 della direttiva rifiuti risulta recepito, in Italia, con
l’articolo 184-bis del d. lgs. n. 152 del 2006, che al comma 1
prevede che, al fine di considerare i residui dei processi produttivi
sottoprodotti anziché rifiuti, è necessario dimostrare la sussistenza delle
seguenti condizioni:
a) «la sostanza o l’oggetto è originato da un
processo di produzione, di cui costituisce parte integrante ed il cui scopo
primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto»;
b) «è certo che la sostanza o l’oggetto sarà
utilizzato nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o
di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi»;
c) «la sostanza o l’oggetto può essere
utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale
pratica industriale»;
d) «l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la
sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti
pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente
e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana».
Con decreto del Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e
del mare 13 ottobre 2016, n. 264 sono stati adottati «Criteri
indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per
la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti».
Il Decreto rappresenta uno strumento a disposizione di tutti i soggetti
interessati (operatori, altre Amministrazioni, organi di controllo, etc.) per
agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti richiesti dalla
normativa vigente per la qualifica di un residuo di produzione come
sottoprodotto anziché come rifiuto e non contiene né un “elenco” di materiali
senz’altro qualificabili alla stregua di sottoprodotti, né un elenco di
trattamenti ammessi sui medesimi in quanto senz’altro costituenti “normale
pratica industriale”, dovendo comunque essere rimessa la valutazione del
rispetto dei criteri indicati ad una analisi
caso per caso, in conformità con quanto previsto dalla giurisprudenza comunitaria.
L’articolo 1 del DM, infatti, chiarisce che i requisiti e le condizioni
richiesti per escludere un residuo di produzione dal campo di applicazione
della normativa sui rifiuti sono valutati ed accertati alla luce del complesso
delle circostanze e devono essere soddisfatti in tutte le fasi della gestione
dei residui, dalla produzione all'impiego nello stesso processo o in uno
successivo.
La circolare ministeriale 7619 del 2017 chiarisce che la qualifica di sottoprodotto non potrà mai essere
acquisita in un tempo successivo alla generazione del residuo, non
potendo un materiale qualificato inizialmente come rifiuto divenire successivamente
un sottoprodotto.
L’articolo 4 del Regolamento n. 264 precisa, quindi, che le
condizioni indicate dall’articolo 184-bis del d.lgs. n. 152 del 2006
devono poter essere dimostrate e sussistere, tutte, in ogni fase della gestione
del residuo, dalla produzione, fino all’impiego del medesimo. Il Decreto
intende mettere a disposizione degli operatori strumenti in grado di sostenerli
nel fornire la relativa prova.
Nel caso in cui un sottoprodotto perda le caratteristiche
che lo rendono tale ai sensi dell’articolo 184-bis del d.lgs. n. 152 del
2006, la responsabilità della gestione del residuo come rifiuto ricadrà sul
soggetto che si trova in possesso del medesimo immediatamente prima che diventi
rifiuto.
L’utilizzo degli strumenti probatori
disciplinati dal decreto ministeriale è facoltativa, essendo data la
possibilità di dimostrare la sussistenza dei requisiti dei sottoprodotti anche
con altri mezzi.
Ai sensi dell’articolo 184-bis, comma 1, lett. a), del
d.lgs. n. 152 del 2006, la sostanza o l’oggetto deve essere originato da un
processo di produzione, di cui costituisce parte integrante e il cui scopo
primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto.
La norma è volta a sottolineare, innanzitutto, la necessità
che la sostanza o l’oggetto da qualificare come sottoprodotto sia un residuo di
produzione e non, invece, un prodotto (cfr. par. 1.1.).
Con riferimento alla nozione di processo
di produzione, la circolare ministeriale esplicativa del DM n.264
chiarisce che la nozione si riferisce ad un processo
che trasforma i fattori produttivi in risultati, i quali ben possono
essere rappresentati da prodotti tangibili o intangibili, di talché anche la
produzione può riguardare non solo i beni, ma
anche i servizi e comprende non
solo i processi tecnologici di fabbricazione dei componenti del prodotto e il
loro successivo assemblaggio, ma anche processi di supporto all’attività di
trasformazione, come manutenzione, controllo di processo, gestione della
qualità, movimentazione dei materiali, ecc..
Ai sensi dell’articolo 184-bis, comma 1, lett. b),
del d.lgs. n. 152 del 2006, perché un residuo sia un sottoprodotto deve essere
certo che esso «sarà utilizzato» nel corso dello stesso o di un successivo
processo produttivo o di utilizzazione.
L’articolo 5 del D.M.
n.264 e la relativa circolare esplicativa forniscono i seguenti chiarimenti:
- la
certezza dell'utilizzo è dimostrata dall'analisi delle modalità organizzative
del ciclo di produzione, delle caratteristiche, o della documentazione relative
alle attività dalle quali originano i materiali impiegati ed al processo di
destinazione, valutando, in particolare, la congruità tra la tipologia, la
quantità e la qualità dei residui da impiegare e l'utilizzo previsto per gli
stessi;
- la certezza dell'utilizzo è valutata caso per
caso, analizzando le specifiche circostanze di fatto;
- il requisito della certezza dell'utilizzo è
dimostrato dal momento della produzione del residuo fino al momento
dell'impiego dello stesso;
- è esclusa la
possibilità di allestire depositi a tempo indeterminato di materiali in vista
di un loro possibile utilizzo futuro. Un lungo tempo di deposito rende meno
certo l’utilizzo, in ragione dell’incertezza legata al mero scorrere del tempo.
L’adeguatezza del tempo di deposito va valutata con riguardo a diversi altri
fattori, quali le caratteristiche del residuo, le modalità di conservazione
dello stesso, le caratteristiche che esso deve avere per la successiva utilizzazione;
- il produttore ed il detentore assicurano,
ciascuno per quanto di propria competenza, l'organizzazione e la continuità di
un sistema di gestione, ivi incluse le fasi di deposito e trasporto che, per
tempi e per modalità, consente l'identificazione e l'utilizzazione effettiva
del sottoprodotto;
- fino al momento dell'impiego del
sottoprodotto, il deposito ed il trasporto sono effettuati nel rispetto di
quanto previsto dall'articolo 8, vale a dire:
a) la separazione dei sottoprodotti da rifiuti, prodotti, o oggetti,
o sostanze con differenti caratteristiche chimico fisiche, o destinati a
diversi utilizzi;
b) l'adozione delle cautele necessarie ad evitare l'insorgenza di
qualsiasi problematica ambientale, o sanitaria, nonché fenomeni di combustione,
o la formazione di miscele pericolose, o esplosive;
c) l'adozione delle cautele necessarie ad evitare l'alterazione delle
proprietà chimico-fisiche del sottoprodotto, o altri fenomeni che possano pregiudicarne
il successivo impiego;
d) la congruità delle tempistiche e delle modalità di gestione,
considerate le peculiarità e le caratteristiche del sottoprodotto, nel rispetto
di quanto indicato nella scheda tecnica
- resta ferma l'applicazione della disciplina
in materia di rifiuti, qualora, in considerazione delle modalità di deposito o
di gestione dei materiali o delle sostanze, siano accertati l'intenzione,
l'atto o il fatto di disfarsi degli stessi;
- la certezza dell'utilizzo di un residuo in un
ciclo di produzione diverso da quello da cui è originato presuppone che
l'attività o l'impianto in cui il residuo deve essere utilizzato sia
individuato o individuabile già al momento della produzione dello stesso. L’espressione
“individuabilità” fa riferimento alle tipologie di impianti o di attività nel
cui ambito il residuo può essere impiegato. Pertanto, se potrebbe esservi,
all’origine, incertezza sul soggetto destinatario del residuo, non deve
esservi, invece, alcun dubbio circa la tipologia di impianto o di attività in
cui il residuo può essere e sarà impiegato in considerazione delle sue
caratteristiche tecniche, e sulla circostanza che, in virtù di queste
caratteristiche, l’impiego è possibile in quei determinati tipi di impianti o
attività senza il ricorso a trattamenti diversi dalla normale pratica
industriale. D’altra parte, quando il destinatario sia individuato, il decreto
richiede, comunque, una verifica di congruità, evidentemente sotto il profilo
qualitativo e quantitativo, tra il materiale residuale e l’impianto o
l’attività di destinazione, che deve avere caratteristiche e dimensioni
adeguate ad assicurare l’effettivo impiego del residuo stesso;
- in caso di cessione del residuo per l’impiego
in altro ciclo produttivo non è necessario ottenere un guadagno economico e,
d’altra parte, non è sufficiente la “mera presenza” di un contratto di
cessione a titolo oneroso.
Costituiscono elementi
probatori:
- l'esistenza di rapporti o impegni
contrattuali tra il produttore del residuo, eventuali intermediari e gli
utilizzatori, dai quali si evincano le informazioni relative alle
caratteristiche tecniche dei sottoprodotti, alle relative modalità di utilizzo
e alle condizioni della cessione che devono risultare vantaggiose e assicurare
la produzione di una utilità economica o di altro tipo;
- la
predisposizione di una scheda tecnica contenente le informazioni indicate
all'allegato 2 del DM, necessarie a consentire l'identificazione dei
sottoprodotti dei quali è previsto l'impiego e l'individuazione delle
caratteristiche tecniche degli stessi, nonché del settore di attività o della
tipologia di impianti idonei ad utilizzarli. Nella scheda tecnica sono,
altresì, indicate tempistiche e modalità congrue per il deposito e per la
movimentazione dei sottoprodotti, dalla produzione del residuo, fino
all'utilizzo nel processo di destinazione. In caso di modifiche sostanziali del
processo di produzione o di destinazione del sottoprodotto, tali da comportare
variazioni delle informazioni rese, deve essere predisposta una nuova scheda
tecnica. Le schede tecniche sono numerate, vidimate e gestite con le procedure
e le modalità fissate dalla normativa sui registri IVA. Gli oneri connessi alla
tenuta delle schede si intendono correttamente adempiuti anche qualora sia utilizzata
carta formato A4, regolarmente vidimata e numerata. Le schede sono vidimate,
senza oneri economici, dalle Camere di commercio territorialmente competenti.
Sulla scheda tecnica vedi par. 1.4.5.
L’articolo 184-bis, comma 1, lett. c), del d.lgs. n.
152 del 2006, indica, tra le condizioni necessarie per la qualifica di un
residuo come sottoprodotto, che la sostanza o l’oggetto possa essere utilizzato
direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica
industriale.
L’articolo 6 del
D.M.n.264 del 2016 chiarisce che:
-
non
costituiscono normale pratica industriale i processi e le operazioni necessari
per rendere le caratteristiche ambientali della sostanza o dell'oggetto idonee
a soddisfare, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti
pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente
e a non
portare a impatti complessivi negativi sull'ambiente, salvo
il caso in cui siano effettuate nel medesimo ciclo
produttivo;
-
rientrano
nella normale pratica industriale
le attività e le operazioni che costituiscono
parte integrante del ciclo di produzione del residuo, anche se
progettate e realizzate allo specifico fine
di rendere le
caratteristiche ambientali o sanitarie
della sostanza o
dell'oggetto idonee a
consentire e favorire, per
l'utilizzo specifico, tutti
i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la
protezione della salute e dell'ambiente e a non portare ad impatti complessivi
negativi sull'ambiente.
Scopo della disposizione è quello di evitare che,
inquadrando come “normale pratica industriale” un’attività, ad esempio,
finalizzata a ridurre la concentrazione di sostanze inquinanti o pericolose,
possano essere sostanzialmente eluse le disposizioni in materia di gestione dei
rifiuti e le relative necessarie cautele ed autorizzazioni. Per tali ragioni si
riconosce la possibilità di qualificare come “normale pratica industriale”
eventuali operazioni necessarie per rendere il residuo idoneo all’utilizzo,
anche sotto il profilo ambientale e sanitario, ma alla condizione che siano
svolte all’interno del medesimo ciclo produttivo.
Al fine della prova della riconducibilità dell’operazione
alla “normale pratica industriale” l’operatore potrebbe dimostrare, a mero
titolo di esempio che:
- il trattamento non incide o non fa perdere
al materiale la sua identità, le caratteristiche merceologiche, o la qualità
ambientale, non determina un mutamento strutturale delle componenti
chimico-fisiche della sostanza o una sua trasformazione radicale;
- il trattamento corrisponde a quelli
ordinariamente effettuati nel processo produttivo nel quale il materiale viene
utilizzato ed in particolare a quelli ordinariamente effettuati sulla materia
prima che il sottoprodotto va a sostituire.
Sebbene sia riconosciuta la possibilità che il trattamento
sia effettuato anche da soggetti intermediari, l’eventuale eccessiva
molteplicità di passaggi e di operatori lungo la filiera potrebbe rendere
maggiormente complicata la dimostrazione della sussistenza dei requisiti
richiesti dalla legge.
L’articolo 184-bis, richiede, tra le condizioni da
soddisfare per poter qualificare un residuo come sottoprodotto, che l’ulteriore
utilizzo sia legale, ossia che la sostanza o l’oggetto soddisfi, per l’utilizzo
specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione
della salute e dell’ambiente e che non porterà a impatti complessivi negativi
sull’ambiente o la salute umana.
Si possono distinguere due ipotesi:
a) c’è
una normativa di riferimento che definisce modalità o requisiti di impiego per
un determinato utilizzo: la mancata rispondenza dello stesso ai requisiti
richiesti dalla norma o l’aver effettuato un impiego difforme rispetto a quanto
previsto, ne determina la qualifica come rifiuto, per mancanza del requisito;
b)
non c’è una normativa di riferimento che
definisce modalità o requisiti di impiego per un determinato utilizzo: rimane comunque
ferma la necessità di dimostrare che l’impiego dello stesso non porterà ad
impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana.
In presenza di una documentazione
contrattuale – o, comunque, di un destinatario già individuato – sarà possibile
fornire la prova della legalità dell’utilizzo anche facendo riferimento al
contenuto del provvedimento autorizzatorio di quest’ultimo.
Una adeguata compilazione della scheda tecnica – non obbligatoria, ma facoltativa – consente
agli operatori di fornire la dimostrazione della sussistenza di tutti i
requisiti richiesti. Di tale strumento, quindi, ben potrebbe giovarsi anche
l’operatore che disponga di una documentazione contrattuale. La scheda tecnica rappresenta, dunque, un
elemento di ausilio sotto il profilo probatorio per coloro che intendano
avvalersi delle procedure previste dal Regolamento.
Nel caso in cui l’operatore intenda avvalersi dello
strumento probatorio della scheda tecnica, la compilazione deve essere riferita a specifici lotti di residuo, caratterizzati da unitarietà sotto il
profilo funzionale e della destinazione. Pur essendo rimessa alla
discrezionalità degli operatori la scelta delle modalità di indicazione e di
identificazione dei lotti, la codifica degli stessi deve comunque assicurare la
possibilità di risalire al momento di produzione dei residui.
La circolare esplicativa del D.M. n.264 fornisce un utile
schema di riferimento.
REQUISITO
DA DIMOSTRARE
|
CAMPI
DELLA SCHEDA TECNICA DA RIEMPIRE
|
CARATTERISTICA DI “RESIDUO DI PRODUZIONE”
(articolo 184-bis, comma 1, lett. a) d.lgs. n.
152/06)
|
È
necessario fornire informazioni sull’impianto di produzione e sul
sottoprodotto.
In
particolare, rileva la compilazione dei seguenti campi della scheda tecnica:
- Descrizione e caratteristiche del processo di
produzione;
- Indicazione dei materiali in uscita dal processo di
produzione;
-
Tipologia e
caratteristiche del sottoprodotto e modalità di produzione;
|
CERTEZZA DELL’UTILIZZO
(articolo 184-bis, comma 1, lett. b) d.lgs. n.
152/06)
|
È
necessario fornire informazioni sulla destinazione del sottoprodotto, su
tempi e modalità di deposito e movimentazione, nonché sull’organizzazione e
continuità del sistema di gestione.
In
particolare, rileva la compilazione dei seguenti campi della scheda tecnica:
-
Tipologie di
attività o impianti di utilizzo idonei ad utilizzare il residuo;
-
Impianto o
attività di destinazione (la compilazione di questo campo, comportando
l’individuazione anche sotto il profilo soggettivo del destinatario, può
essere effettuata anche in un momento successivo rispetto alla produzione del
residuo);
-
Riferimenti di
eventuali intermediari (la compilazione di questo campo è eventuale e può
essere effettuata in un momento successivo rispetto alla produzione del
residuo);
-
Modalità di
raccolta e deposito del sottoprodotto;
-
Indicazione del
luogo e delle caratteristiche del deposito e di eventuali depositi intermedi;
-
Tempo massimo
previsto per il deposito, a partire dalla produzione fino all’impiego
definitivo;
-
Descrizione delle
tempistiche e delle modalità di gestione finalizzate ad assicurare
l’identificazione e l’utilizzazione effettiva del sottoprodotto;
|
UTILIZZO DIRETTO, SENZA TRATTAMENTI DIVERSI DALLA
NORMALE PRATICA INDUSTRIALE
(articolo 184-bis, comma 1, lett. c) d.lgs. n.
152/06)
|
È
necessario fornire informazioni sul sottoprodotto e sui trattamenti necessari
a consentirne l’impiego.
In
particolare, rileva la compilazione dei seguenti campi della scheda tecnica:
-
Conformità del
sottoprodotto rispetto all’impiego previsto (in questo campo vanno descritti
i trattamenti eventualmente necessari al fine dell’impiego e va fornita la
dimostrazione della non estraneità dei medesimi rispetto alla “normale
pratica industriale”, nonché delle condizioni in cui si trova, al termine del
ciclo produttivo, il residuo rispetta tutti i requisiti pertinenti
riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e che
l’impiego dello stesso non comporta impatti complessivi negativi
sull'ambiente;
|
LEGALITÀ DELL’UTILIZZO
(articolo 184-bis, comma 1, lett. d) d.lgs. n.152/06)
|
È
necessario fornire informazioni sulle caratteristiche del sottoprodotto e
sulla conformità dello stesso rispetto all’impiego previsto, sotto il profilo
sia tecnico che del rispetto dei requisiti e dei parametri stabiliti da norme
di settore, laddove esistenti.
In
particolare, rileva la compilazione dei seguenti campi della scheda tecnica:
-
Conformità del sottoprodotto rispetto all’impiego previsto.
|
Fonte:
Comunicazione COM - (2007) 59 def, del 21 febbraio 2007
<v:path o:connecttype="rect" gradientshapeok="t" o:extrusionok="f">
Sebbene lo schema proposto sia un po’
datato, risulta comunque uno schema utile per distinguere un rifiuto da un
sottoprodotto.
Riferimenti normativi:
- Articolo 184-ter d.lgs. n.152/06
- D.M.
5 febbraio 1998;
- D.M. 12 giugno 2002, n. 161;
- D.M.
17 novembre 2005, n. 269
Ai sensi dell’articolo 184-ter del d.lgs. n.152 del 2006, la
disciplina in materia di rifiuti si applica fino alla cessazione della
qualifica di rifiuto. Un rifiuto cessa di essere tale (e può essere computato
ai fini del raggiungimento degli obiettivi) quando è sottoposto ad una
operazione di recupero “completa” (incluso il riciclaggio) e soddisfa i criteri
specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:
a)
la sostanza o
l'oggetto sono destinati a essere utilizzati per scopi specifici;
b)
esiste un
mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
c)
la sostanza o
l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la
normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
d)
l’utilizzo della
sostanza o dell’oggetto non porterà ad impatti complessivi negativi sull’ambiente
o sulla salute umana.
I criteri di cui al comma 1 sono adottati:
- in
conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria;
- in
mancanza di criteri comunitari, caso per caso, per specifiche tipologie di
rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela
del territorio e del mare;
- in
mancanza di criteri specifici adottati a livello nazionale, mediante
indicazione di criteri dettagliati, definiti in fase di rilascio o rinnovo
delle autorizzazioni per il recupero dei rifiuti (artt.208, 209 e 211 o titolo
III-bis della parte seconda del codice ambientale). In questo caso è prevista
una procedura di verifica e controllo tramite ISPRA e l’inserimento delle
autorizzazioni specifiche nel Registro nazionale per la raccolta delle
autorizzazioni istituito con DM 21 aprile 2020.
Le autorizzazioni devono indicare:
a)
materiali di rifiuto in entrata ammissibili ai fini dell'operazione di
recupero;
b)
processi e tecniche di trattamento consentiti;
c) criteri di qualità per i materiali di cui è
cessata la qualifica di rifiuto ottenuti dall'operazione di recupero in linea
con le norme di prodotto applicabili, compresi i valori limite per le sostanze
inquinanti, se necessario;
d)
requisiti affinché i sistemi di gestione dimostrino il rispetto dei
criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto, compresi il
controllo della qualità, l'automonitoraggio e l'accreditamento, se del caso;
e) un
requisito relativo alla dichiarazione di conformità.
In mancanza di criteri specifici adottati a livello nazionale continuano
ad applicarsi, quanto alle procedure semplificate per il recupero dei rifiuti,
le disposizioni di cui ai seguenti decreti:
-
D.M 5 febbraio 1998;
-
D.M. 12
giugno 2002, n. 161
-
D.M. 17 novembre 2005, n. 269
Tale richiamo, in sostanza, consente, nelle more dell’attuazione
dell’articolo 184-ter, di prendere come riferimento gli allegati dei
decreti ministeriali citati che, per alcune categorie di rifiuto, individuano i
circuiti di provenienza, le attività di recupero effettuabili e le
caratteristiche dei materiali ottenuti dalle operazioni di recupero.
Va evidenziato che, a differenza dei sottoprodotti, che rappresentano
una categoria aperta, in quanto qualsiasi residuo di produzione, ricorrendo
le condizioni indicate dall’articolo 184-bis del d.lgs. n.152/06 può essere
considerato un sottoprodotto, gli end of waste rappresentano
una categoria chiusa, dovendo essere espressamente individuati in un
provvedimento normativo (comunitario o nazionale) o in specifiche
autorizzazioni.
Il decreto legislativo n.116 del 2020 ha inserito nell’articolo 184-ter
il comma 5-bis. che prevede che: “La persona fisica o giuridica che
utilizza, per la prima volta, un materiale che ha cessato di essere considerato
rifiuto e che non è stato immesso sul mercato o che immette un materiale sul
mercato per la prima volta dopo che cessa di essere considerato rifiuto,
provvede affinché il materiale soddisfi i pertinenti requisiti ai sensi della
normativa applicabile in materia di sostanze chimiche e prodotti collegati”.
Le condizioni di cui al comma 1 devono essere
soddisfatte prima che la normativa sulle sostanze chimiche e sui prodotti si
applichi al materiale che ha cessato di essere considerato un rifiuto.
Di seguito schema
dei regolamenti end
of waste (a dicembre
2020) approvati o in corso.
2. CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI
Ai sensi dell’articolo 184 del d.lgs. n.152/06, i rifiuti sono
classificati, secondo l'origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali e,
secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non
pericolosi.
Riferimenti normativi:
- Articolo 183,
comma 1 lettera b-ter d.lgs. n.152/06
Sono rifiuti urbani:
1. i
rifiuti domestici indifferenziati e da raccolta differenziata, ivi compresi:
carta e cartone, vetro, metalli, plastica, rifiuti organici, legno, tessili,
imballaggi, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, rifiuti di
pile e accumulatori e rifiuti ingombranti, ivi compresi materassi e mobili;
2. i
rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti
che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati
nell'allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell'allegato
L-quinquies;
3. i
rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade e dallo svuotamento dei
cestini portarifiuti;
4. i
rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree
pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o
sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d'acqua;
5. i
rifiuti della manutenzione del verde pubblico, come foglie, sfalci d'erba e
potature di alberi, nonché i rifiuti risultanti dalla pulizia dei mercati;
6. i
rifiuti provenienti da aree cimiteriali, esumazioni ed estumulazioni, nonché
gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui
ai punti 3, 4 e 5.
Riferimenti normativi:
- Articolo 183,
comma 1 lettera b-ter, punto 5, d.lgs. n.152/06
L’articolo 183, comma 1, lettera b-ter, punto 5 del
codice ambientale, come modificato dal decreto legislativo n.116 del 2020,
include nell’elenco dei rifiuti urbani “i
rifiuti della manutenzione del verde pubblico, come foglie, sfalci d'erba e
potature di alberi, nonché i rifiuti risultanti dalla pulizia dei mercati”.
La norma va coordinata con l’articolo 185
comma 1, lettera f), che esclude dal campo di applicazione dei rifiuti la paglia ed altro materiale agricolo o forestale
naturale non pericoloso quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, gli
sfalci e le potature effettuati nell'ambito delle buone pratiche colturali,
utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da
tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a
terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in
pericolo la salute umana e con l’articolo 184-bis
che individua i requisiti per la qualifica di un residuo come sottoprodotto.
Rinviando alla lettura del paragrafo 1.3.2., per maggiori dettagli, si
precisa che nell’articolo
7 della direttiva quadro e nell’articolo 184 del codice ambientale – è
espressamente chiarito che “l’inclusione di una sostanza o di un oggetto
nell’elenco non significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi” e che “una
sostanza o un oggetto è considerato un rifiuto solo se rientra nella
definizione di” rifiuto.
Considerate, inoltre, le precisazioni
effettuate nel parere del Ministero dell’ambiente, l’inclusione dei residui di
manutenzione del verde nell’elenco dei rifiuti urbani non comporta che questi
debbano essere necessariamente sempre considerati tali, potendo comunque essere
dimostrata la natura di sottoprodotto. A tale conclusione non osta il fatto che
i residui siano prodotti nell’ambito di una attività di servizio o di
manutenzione, in quanto la circolare ministeriale esplicativa del D.M. n.264
del 2016, in materia di sottoprodotti, chiarisce espressamente che anche tali
tipologie di attività rientrano nell’ambito delle attività produttive.
Riferimenti normativi:
- Articolo 183
d.lgs. n.152/06
- Articolo 195
d.lgs. n.152/06
- Articolo 198
d.lgs. n.152/06
Fino alle modifiche apportate con il decreto legislativo n. 116 del
2020, nella Parte IV del codice ambientale era inserita la categoria dei
rifiuti speciali non pericolosi assimilati, per qualità e quantità, ai
rifiuti urbani, ai fini della gestione. All’assimilazione dei rifiuti speciali in
urbani conseguiva, quindi, l’applicazione del regime tariffario previsto per
tali tipologie di rifiuti.
Il d.lgs. n.152/06 prevedeva che la determinazione dei criteri
qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione dei rifiuti speciali ai
rifiuti urbani, ai fini della raccolta e dello smaltimento, rientrasse tra le
competenze dello Stato, mentre riservava ai Comuni la gestione di tali rifiuti
e l'emanazione dello specifico provvedimento di assimilazione, secondo i
criteri stabiliti dallo Stato.
Con le modifiche introdotte nelle definizioni a seguito del decreto
legislativo n.116 del 2020, vengono inclusi tra i rifiuti urbani anche i
rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti
che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati
nell'allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell'allegato
L-quinquies.
La previsione di specifici allegati in materia (allegati L-quater e
L-quinques) ha reso inutile il rinvio ad ulteriori provvedimenti, sicché
nel resto dell’articolato del codice ambientale risultano abrogate le norme
previgenti in materia di competenze che rinviavano ad appositi regolamenti
comunali l’assimilazione per specifiche quantità e tipologie di rifiuti, sulla
base di criteri che dovevano essere definiti dal Ministero (modifiche agli
articoli 195 e 198).
La norma precisa che i rifiuti urbani non includono
i rifiuti della produzione, dell'agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse
settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque
reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti
da costruzione e demolizione.
Le nuove definizioni vanno lette, quindi, in combinato con i due allegati
di seguito riportati, di nuova introduzione nel codice ambientale. A
fronte della formulazione generica dell’articolato (rifiuti speciali simili per
natura e composizione ai rifiuti domestici), il legislatore ha, quindi, voluto
elencare di quali rifiuti si tratta aggiungendo anche il parametro della
attività di produzione.
Si rilevano alcuni elementi di novità:
- la nuova classificazione dei rifiuti “simili”
agli urbani non esclude che possano essere considerati rifiuti urbani anche
quelli provenienti da altre fonti,
considerata la possibilità di qualificazione di rifiuti provenienti da attività
analoghe a quelle indicate in allegato;
- la classificazione del rifiuto come “simile”
all’urbano, a differenza di quelli che prima erano “assimilati” prescinde dalla
presenza di un apposito regolamento comunale che ne definisca attività di
provenienza, tipologia e limiti, essendo già indicati negli allegati alla Parte
IV;
-
i rifiuti
non provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione,
ritenuti simili, per natura e composizione ai rifiuti domestici, sono urbani a
tutti gli effetti e pertanto devono essere gestiti dai Comuni, senza che essi
possano imporre, come oggi avviene, limiti quantitativi modulati sulla loro
reale capacità di gestione.
Si segnala che, ai sensi dell’articolo 6, comma 5, d.lgs. n.
116 del 2020, al fine di consentire ai soggetti affidatari del servizio di
gestione dei rifiuti il graduale adeguamento operativo delle attività alla
definizione di rifiuto urbano, le disposizioni di cui agli articoli 183, comma
1, lettera b ter) e 184, comma 2 e agli allegati L-quater e L-quinquies,
si applicano a partire dal 1° gennaio 2021 (salve eventuali proroghe).
Con riferimento alla tariffa per la gestione dei rifiuti
urbani, disciplinata nell’articolo 238 del codice ambientale, il comma 10 del citato articolo precisa che :
“ Le utenze non domestiche che producono rifiuti urbani di cui all'articolo
183 comma 1, lettera b-ter) punto 2, che li conferiscono al di fuori del
servizio pubblico e dimostrano di averli avviati al recupero mediante
attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei
rifiuti stessi sono escluse dalla corresponsione
della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti; le
medesime utenze effettuano la scelta di servirsi del gestore del servizio
pubblico o del ricorso al mercato per un periodo non inferiore a cinque anni,
salva la possibilità per il gestore del servizio pubblico, dietro richiesta
dell'utenza non domestica, di riprendere l'erogazione del servizio anche prima
della scadenza quinquennale”.
Di seguito gli allegati che definiscono l’elenco dei rifiuti
che possono essere considerati simili agli urbani e le relative attività di
provenienza.
Allegato L -quater - Elenco dei rifiuti di cui all’articolo 183,
comma 1, lettera b -ter), punto 2)
Rimangono
esclusi i rifiuti derivanti da attività agricole e connesse di cui all’articolo
2135 del codice civile.
Allegato L
-quinquies - Elenco attività che producono rifiuti di cui all’articolo 183,
comma 1, lettera b -ter), punto 2)
1. Musei, biblioteche,
scuole, associazioni, luoghi di culto.
2. Cinematografi e teatri.
3. Autorimesse e magazzini
senza alcuna vendita diretta.
4. Campeggi, distributori
carburanti, impianti sportivi.
5. Stabilimenti balneari.
6. Esposizioni,
autosaloni.
7. Alberghi con ristorante.
8. Alberghi senza
ristorante.
9. Case di cura e riposo.
10. Ospedali.
11. Uffici, agenzie, studi
professionali.
12. Banche ed istituti di
credito.
13. Negozi abbigliamento,
calzature, libreria, cartoleria, ferramenta, e altri beni durevoli.
14. Edicola, farmacia,
tabaccaio, plurilicenze.
15. Negozi particolari
quali filatelia, tende e tessuti, tappeti, cappelli e ombrelli, antiquariato.
16. Banchi di mercato beni
durevoli.
17. Attività artigianali
tipo botteghe: parrucchiere, barbiere, estetista.
18. Attività artigianali
tipo botteghe: falegname, idraulico, fabbro, elettricista.
19. Carrozzeria,
autofficina, elettrauto.
20. Attività artigianali
di produzione beni specifici.
21. Ristoranti, trattorie,
osterie, pizzerie, pub.
22. Mense, birrerie, hamburgerie.
23. Bar, caffè,
pasticceria.
24. Supermercato, pane e
pasta, macelleria, salumi e formaggi, generi alimentari.
25. Plurilicenze
alimentari e/o miste.
26. Ortofrutta, pescherie
fiori e piante, pizza al taglio.
27. Ipermercati di generi
misti.
28. Banchi di mercato
generi alimentari.
29. Discoteche, night
club.
Rimangono escluse le
attività agricole e connesse di cui all’articolo 2135 del codice civile.
Attività
non elencate, ma ad esse simili per loro natura e per tipologia di rifiuti prodotti,
si considerano comprese nel punto a cui sono analoghe.
(Omissis)
Riferimenti normativi:
- Articolo 184,
comma 3, d.lgs. n.152/06
Sono rifiuti speciali:
a) i
rifiuti prodotti nell'ambito delle attività agricole, agro-industriali e della
silvicoltura, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2135 del codice civile,
e della pesca;
b) i
rifiuti prodotti dalle attività di costruzione e demolizione, nonché i rifiuti
che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto
dall'articolo 184-bis in materia di sottoprodotti;
c) i
rifiuti prodotti nell'ambito delle lavorazioni industriali se diversi da quelli
urbani;
d) i
rifiuti prodotti nell'ambito delle lavorazioni artigianali se diversi da quelli
urbani;
e) i
rifiuti prodotti nell'ambito delle attività commerciali se diversi da quelli urbani;
f) i
rifiuti prodotti nell'ambito delle attività di servizio se diversi da quelli urbani;
g) i
rifiuti derivanti dall'attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi
prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla
depurazione delle acque reflue, nonché i rifiuti da abbattimento di fumi, dalle
fosse settiche e dalle reti fognarie;
h) i
rifiuti derivanti da attività sanitarie se diversi da quelli urbani;
i) i
veicoli fuori uso.
3. ADEMPIMENTI AUTORIZZATORI
Si tratta di atti necessari per poter iniziare o esercitare un’attività
di gestione dei rifiuti, che è definita dall’articolo 183, comma 1,
lettera n) come: “la raccolta, il trasporto, il recupero, compresa la
cernita, e lo smaltimento dei rifiuti, compresi la supervisione di tali
operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento,
nonché le operazioni effettuate in qualità di commerciante o intermediari. Non
costituiscono attività di gestione dei rifiuti le operazioni di prelievo,
raggruppamento, selezione e deposito preliminari alla raccolta di materiali o
sostanze naturali derivanti da eventi atmosferici o meteorici, ivi incluse
mareggiate e piene, anche ove frammisti ad altri materiali di origine antropica
effettuate, nel tempo tecnico strettamente necessario, presso il medesimo sito
nel quale detti eventi li hanno depositati”.
riferimenti normativi:
-
articolo 208 d.lgs. n.152/06
I soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti
di smaltimento o di recupero di rifiuti devono
presentare apposita domanda alla regione competente per territorio, allegando
il progetto definitivo dell'impianto e la documentazione tecnica prevista per
la realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni vigenti in materia
urbanistica, di tutela ambientale, di salute, di sicurezza sul lavoro e di
igiene pubblica.
Ove l'impianto debba essere sottoposto alla procedura di
valutazione di impatto ambientale ai sensi della normativa vigente, alla
domanda è altresì allegata la comunicazione del progetto all'autorità
competente.
I termini per
il rilascio dell’autorizzazione restano sospesi fino all'acquisizione della
pronuncia sulla compatibilità ambientale ai sensi della parte seconda del codice
ambientale.
Per le installazioni soggette ad autorizzazione integrata
ambientale (installazioni che svolgono
attività di cui all'Allegato VIII alla Parte Seconda e modifiche sostanziali ai
medesimi impianti), l'autorizzazione integrata ambientale sostituisce
l'autorizzazione prevista dall’articolo 208.
L'autorizzazione individua le condizioni e le prescrizioni
necessarie per garantire l'attuazione dei principi di responsabilità estesa del
produttore e contiene almeno i seguenti elementi:
a)
i tipi ed i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati;
b)
per ciascun tipo di operazione autorizzata, i requisiti tecnici con
particolare riferimento alla compatibilità del sito, alle attrezzature
utilizzate, ai tipi ed ai quantitativi massimi di rifiuti e alla modalità di
verifica, monitoraggio e controllo della conformità dell'impianto al progetto
approvato;
c)
le misure precauzionali e di sicurezza da adottare;
d)
la localizzazione dell'impianto autorizzato;
e)
il metodo da utilizzare per ciascun tipo di operazione;
f)
le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi ad essa
successivi che si rivelino necessarie;
g)
le garanzie finanziarie richieste, che devono essere prestate solo al
momento dell'avvio effettivo dell'esercizio dell'impianto; le garanzie
finanziarie per la gestione della discarica, anche per la fase successiva alla
sua chiusura, dovranno essere prestate conformemente a quanto disposto
dall'articolo 14 della disciplina in materia di discariche (decreto legislativo
13 gennaio 2003, n. 36);
h)
la data di scadenza dell'autorizzazione;
i)
i limiti di emissione in atmosfera per i processi di trattamento termico
dei rifiuti, anche accompagnati da recupero energetico.
Salva l'applicazione delle disposizioni in materia di
rinnovo delle autorizzazioni integrate ambientali, l'autorizzazione è concessa
per un periodo di dieci anni ed è rinnovabile.
Riferimenti normativi:
- Articolo 183,
comma 1, lettera t), d.lgs. n.152/06
- Allegato C, Parte
IV d.lgs. n.152/06
È definito come recupero: qualsiasi operazione il cui
principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile,
sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per
assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione,
all'interno dell'impianto o nell'economia in generale.
Il recupero, attività
che necessita di autorizzazione o è subordinata a comunicazione nelle procedure
semplificate, va tenuto distinto dal riutilizzo,
definito come qualsiasi operazione attraverso la quale prodotti o componenti
che non sono rifiuti sono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano
stati concepiti.
Tra le operazioni di
recupero sono invece incluse, tra le altre attività:
-
il recupero di materia (articolo 183, comma 1, lettera t-bis): qualsiasi
operazione di recupero diversa dal recupero di energia e dal ritrattamento per
ottenere materiali da utilizzare quali combustibili o altri mezzi per produrre
energia. Esso comprende, tra l'altro la preparazione per il riutilizzo, il
riciclaggio e il riempimento;
-
il riciclaggio (articolo 183, comma 1,
lettera u): qualsiasi operazione di recupero attraverso cui i rifiuti sono
trattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro
funzione originaria o per altri fini. Include il trattamento di materiale
organico ma non il recupero di energia né il ritrattamento per ottenere
materiali da utilizzare quali combustibili o in operazioni di riempimento;
-
il riempimento (articolo 183, comma 1,
lettera u-bis): qualsiasi operazione di recupero in cui rifiuti non
pericolosi idonei ai sensi della normativa UNI sono utilizzati a fini di
ripristino in aree escavate o per scopi ingegneristici nei rimodellamenti
morfologici. I rifiuti usati per il riempimento devono sostituire i materiali
che non sono rifiuti, essere idonei ai fini summenzionati ed essere limitati
alla quantità strettamente necessaria a perseguire tali fini.
L'allegato C della Parte
IV del codice ambientale riporta un elenco non
esaustivo di operazioni di recupero.
R1 Utilizzazione principalmente come combustibile o
come altro mezzo per produrre energia
R2 Rigenerazione/recupero di solventi
R3 - Riciclaggio/recupero delle sostanze organiche non
utilizzate come solventi (comprese le operazioni di compostaggio e altre
trasformazioni biologiche (**)
R4 - Riciclaggio /recupero dei metalli e dei composti
metallici (***)
R5 - Riciclaggio/recupero di altre sostanze
inorganiche (****)
R6 Rigenerazione degli acidi o delle basi
R7 Recupero dei prodotti che servono a ridurre
l’inquinamento
R8 Recupero dei prodotti provenienti dai catalizzatori
R9 Rigenerazione o altri reimpieghi degli oli
R10 Trattamento in ambiente terrestre a beneficio
dell’agricoltura o dell’ecologia
R11 Utilizzazione di rifiuti ottenuti da una delle
operazioni indicate da R1 a R10
R12 Scambio di rifiuti per sottoporli a una delle
operazioni indicate da R1 a R11
R13 Messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una
delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12 (escluso il deposito
temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti)
- Articolo 183,
comma 1, lettera z), d.lgs. n.152/06
- Allegato B, Parte
IV d.lgs. n.152/06
È definito come smaltimento: qualsiasi
operazione diversa dal recupero anche quando l’operazione ha come conseguenza
secondaria il recupero di sostanze o di energia.
L’Allegato B alla parte IV del codice
ambientale riporta un elenco non esaustivo delle operazioni di smaltimento.
D1
Deposito sul o nel suolo (ad esempio discarica).
D2
Trattamento in ambiente terrestre (ad esempio biodegradazione di rifiuti
liquidi o fanghi nei suoli).
D3
Iniezioni in profondità (ad esempio iniezioni dei rifiuti pompabili in pozzi,
in cupole saline o faglie geologiche naturali).
D4
Lagunaggio (ad esempio scarico di rifiuti liquidi o di fanghi in pozzi, stagni
o lagune, ecc.).
D5
Messa in discarica specialmente allestita (ad esempio sistematizzazione in
alveoli stagni, separati, ricoperti o isolati gli uni dagli altri e
dall’ambiente).
D6
Scarico dei rifiuti solidi nell’ambiente idrico eccetto l’immersione.
D7
Immersione, compreso il seppellimento nel sottosuolo marino.
D8
Trattamento biologico non specificato altrove nel presente allegato, che dia
origine a composti o a miscugli che vengono eliminati secondo uno dei
procedimenti elencati nei punti da D1 a D12.
D9
Trattamento fisico-chimico non specificato altrove nel presente allegato, che
dia origine a composti o a miscugli eliminati secondo uno dei procedimenti
elencati nei punti da D1 a D12 (ad esempio evaporazione, essiccazione,
calcinazione, ecc.)
D10
Incenerimento a terra.
D11
Incenerimento in mare.
D12
Deposito permanente (ad esempio sistemazione di contenitori in una miniera).
D13
Raggruppamento preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D1
a D12. (In mancanza di un altro codice D appropriato, può comprendere le
operazioni preliminari precedenti allo smaltimento, incluso il pretrattamento
come, tra l’altro, la cernita, la frammentazione, la compattazione, la
pellettizzazione, l’essiccazione, la triturazione, il condizionamento o la
separazione prima di una delle operazioni indicate da D1 a D12)
D14
Ricondizionamento preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da
D1 a D13.
D15
Deposito preliminare prima di uno delle operazioni di cui ai punti da D1 a D14
(escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono
prodotti).
riferimenti normativi:
- articoli 214-216,
d.lgs. n.152/06
L’articolo 214 del d.lgs. n.152/06 prevede la possibilità che alcune
attività di auto smaltimento nel luogo di produzione e di recupero siano
assoggettate ad una procedura autorizzatoria semplificata, previa emanazione di
un apposito decreto ministeriale per l’individuazione delle tipologie e delle
quantità di rifiuti ammessi a tale regime e per la definizione delle relative
modalità di gestione.
In particolare, gli articoli 215 e 216 del decreto citato dispongono che,
a condizione che siano rispettate le norme tecniche e le prescrizioni
specifiche indicate nel decreto ministeriale di attuazione dell’articolo 214,
le attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi effettuate nel luogo di
produzione dei rifiuti stessi e le attività di recupero dei rifiuti non
pericolosi e pericolosi possono essere intraprese decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attività alla provincia
territorialmente competente. A seguito
della comunicazione, fatta salva la possibilità che venga richiesta
l’integrazione della documentazione o vengano formulate specifiche prescrizioni
per l’esercizio dell’attività, <st1:personname w:st="on" productid="la Provincia">la
Provincia iscrive in un apposito registro le imprese che
effettuano la comunicazione di inizio di attività.
Nelle ipotesi di rifiuti elettrici ed elettronici, di veicoli fuori uso e
di impianti di coincenerimento, l'avvio delle attività è subordinato
all'effettuazione di una visita preventiva, da parte della provincia competente
per territorio, da effettuarsi entro sessanta giorni dalla presentazione della
comunicazione.
Si segnala come il decreto ministeriale di individuazione delle attività
di auto smaltimento e delle relative condizioni di esercizio suscettibili di
accedere alla procedura di autorizzazione semplificata non sia stato mai
emanato e come, quindi, al momento, non sia possibile effettuare tale tipo di
attività, se non secondo le ordinarie procedure di autorizzazione.
Con riferimento, invece, alle attività di recupero, l’articolo 214, comma
4 prevede che, sino all'emanazione del decreto di attuazione dell’articolo 214
stesso, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti del Ministro
dell'ambiente 5 febbraio 1998 e 12 giugno 2002, n.161 che individuano,
rispettivamente, i rifiuti non
pericolosi e quelli pericolosi che possono essere sottoposti alle procedure
semplificate di recupero, mediante l’invio di semplice comunicazione, in luogo
della ordinaria autorizzazione.
riferimenti normativi:
- articolo
212 d.lgs .n.152/06
Ai sensi
dell’articolo 212, comma 5, del d.lgs. n.152/06 sono obbligati ad iscriversi
all’Albo nazionale dei gestori ambientali, tra gli altri, coloro che svolgono
attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi e pericolosi,
indipendentemente dal fatto che si tratti di rifiuti propri o di rifiuti
prodotti da terzi. Il decreto prevede, quindi, un obbligo generalizzato di iscrizione all’Albo per tutte le
imprese che trasportano i propri rifiuti, indipendentemente dalla
dimostrazione - che prima delle modifiche disposte dal d.lgs. n.4/08, invece,
era possibile fornire ai fini dell’esonero dall’adempimento - di ordinarietà e regolarità nello
svolgimento dell’attività di trasporto.
Ai sensi
dell’articolo 212, comma 8 del medesimo decreto possono, comunque, beneficiare
di una procedura di iscrizione semplificata, a condizione che tali
operazioni costituiscano parte integrante ed accessoria dell’organizzazione
dell’impresa dalla quale i rifiuti sono prodotti:
a) i produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che effettuano operazioni
di raccolta e trasporto dei propri rifiuti
b) i produttori iniziali di rifiuti pericolosi che effettuano operazioni
di raccolta e trasporto di trenta chilogrammi o trenta litri al giorno dei
propri rifiuti pericolosi.
Tali imprese non
sono tenute alla prestazione delle garanzie finanziarie e sono iscritte in
un’apposita sezione dell’Albo, in base alla presentazione di una comunicazione
alla sezione regionale o provinciale dell’Albo territorialmente competente che
rilascia il relativo provvedimento entro i successivi trenta giorni. Con la
comunicazione l’interessato deve attestare sotto la propria responsabilità:
a) la sede dell’impresa, l’attività o le attività dai quali sono
prodotti i rifiuti;
b) le caratteristiche, la natura dei rifiuti prodotti;
c) gli estremi identificativi e l’idoneità tecnica dei mezzi utilizzati
per il trasporto dei rifiuti, tenuto anche conto delle modalità di
effettuazione del trasporto medesimo;
d) il versamento del diritto annuale di registrazione, che in fase di
prima applicazione, è determinato nella somma di 50 euro all’anno, ed è
rideterminabile.
Sono esclusi
dall'obbligo di iscrizione all'Albo nazionale gestori ambientali gli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile,
produttori iniziali di rifiuti, per il trasporto dei propri rifiuti effettuato
all'interno del territorio provinciale o regionale dove ha sede l'impresa ai
fini del conferimento degli stessi nell'ambito del circuito organizzato di raccolta di cui alla lettera pp) del comma 1 dell'articolo
183 del codice ambientale.
L’iscrizione
all’Albo nazionale rappresenta
una autorizzazione ed ha natura abilitante
per lo svolgimento delle attività di trasporto di rifiuti.
4. ADEMPIMENTI GESTIONALI
Gli adempimenti gestionali rappresentano prescrizioni che devono essere
rispettate nel normale svolgimento dell’attività di gestione. Alle diverse
modalità di gestione corrisponde un differente regime autorizzatorio.
riferimenti normativi:
- articolo 183,
comma 1, lettera aa), d.lgs. n.152/06
- allegati B e C
Parte IV d.lgs. n.152/06
L’articolo 183 definisce come stoccaggio:
- le attività di smaltimento consistenti nelle
operazioni di deposito preliminare di rifiuti (di cui al punto D15
dell'allegato B alla parte quarta del codice ambientale),
- le attività di recupero consistenti nelle
operazioni di messa in riserva di materiali (di cui al punto R13
dell'allegato C alla medesima parte quarta).
Le attività di stoccaggio, quindi, in quanto considerate attività di
recupero o smaltimento dei rifiuti, devono essere autorizzate.
riferimenti normativi:
- Articolo 183
d.lgs. n.152/06
- Allegato B Parte
IV d.lgs. n.152/06
Il deposito di rifiuti che precede un’operazione di smaltimento
e che, per le modalità con cui viene effettuato non integra la nozione di deposito
temporaneo, è definito come deposito preliminare ed è considerato
quale attività di smaltimento.
Pertanto, il suo esercizio richiede la specifica autorizzazione allo
smaltimento dei rifiuti, contemplata dall’articolo 208 del d.lgs. n.152/06.
riferimenti normativi:
- Articolo 183
d.lgs. n.152/06
- Allegato C Parte
IV d.lgs.152/06
Il deposito di rifiuti che precede un’operazione di recupero e
che, per le modalità con cui viene effettuato non integra la nozione di deposito
temporaneo, è definito come messa in riserva ed è considerato quale
attività di recupero.
Pertanto, il suo esercizio richiede la specifica autorizzazione al
recupero dei rifiuti, contemplata dall’articolo 208 del d.lgs. n.152/06 o
l’effettuazione della comunicazione di inizio attività, ai sensi dell’articolo
216 del medesimo decreto, qualora l’operazione di messa in riserva, per la
tipologia di rifiuti oggetto di gestione, sia contemplata dal decreto
ministeriale di attuazione dell’articolo 214 (attualmente, nelle more
dell’approvazione del nuovo decreto, come già indicato, nel d.m. 5 febbraio
1998, per i rifiuti non pericolosi e nel d.m. 2 giugno 2002, n.161, per i rifiuti pericolosi).
riferimenti normativi:
- Articolo 183,
comma 1, lettera bb), d.lgs. n.152/06
- Articolo
185-bis, d.lgs. n.152/06
L’articolo 183 del d.lgs. n.152/06, definisce la nozione di deposito
temporaneo prima della raccolta: il
raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di
recupero e/o smaltimento, effettuato, prima della raccolta ai sensi
dell'articolo 185-bis.
il deposito temporaneo è quella forma di deposito dei rifiuti che, se
effettuata nel rispetto delle modalità tecniche e delle tempistiche previste
dalla norma di riferimento, non
necessita di autorizzazione.
Il deposito temporaneo deve rispettare le
seguenti condizioni ed essere effettuato:
1) nel luogo in
cui i rifiuti sono prodotti, da intendersi quale l'intera area in cui si svolge
l'attività che ha determinato la produzione dei rifiuti o, per gli imprenditori
agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile, presso il sito che sia
nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i
consorzi agrari, di cui gli stessi sono soci;
2) esclusivamente
per i rifiuti soggetti a responsabilità estesa del produttore, Al fine di
attivare la raccolta di alcune tipologie di rifiuti direttamente presso i punti
vendita è stata inserita la possibilità di effettuare il deposito preliminare
alla raccolta presso i locali del punto vendita dei distributori esclusivamente
per specifiche categorie di rifiuti assoggettate a responsabilità estesa e,
solo per i rifiuti da costruzione e demolizione, presso le aree di pertinenza
dei punti di vendita;
3) per i rifiuti
da costruzione e demolizione, nonché per le filiere di rifiuti per le quali vi
sia una specifica disposizione di legge, il deposito preliminare alla raccolta
può essere effettuato presso le aree di pertinenza dei punti di vendita dei
relativi prodotti.
Si evidenzia che la possibilità di effettuare
il deposito presso i locali del punto vendita dei distributori esclusivamente
per specifiche categorie di rifiuti assoggettate a responsabilità estesa (punto
2) rappresenta una importante novità introdotta dalla nuova definizione.
Con riferimento
alle tempistiche di rimozione dei rifiuti,
la norma prevede che per potersi qualificare un’attività come deposito
temporaneo (per il quale non vi è necessità di alcuna autorizzazione), i
rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di
smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del
produttore:
- con
cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in
deposito;
- quando
il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri
cubi (massimo 10 metri cubi nel caso di rifiuti pericolosi e <st1:metricconverter w:st="on" productid="20 metri cubi">20 metri cubi nel
caso di rifiuti non pericolosi). In ogni
caso il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno.
Il mancato rispetto delle condizioni e delle modalità di gestione
descritte comporta l’impossibilità di qualificare il raggruppamento dei rifiuti
come deposito temporaneo e, conseguentemente, di poter beneficiare
dell’esenzione dall’obbligo di autorizzazione.
Le attività di deposito che non integrino un’ipotesi di deposito
temporaneo sono classificate come operazioni di deposito preliminare o di messa
in riserva (a seconda che i rifiuti stoccati siano destinati ad operazioni di
smaltimento o di recupero) ed assoggettati al relativo regime autorizzatorio.
5. ADEMPIMENTI AMMINISTRATIVI
Gli adempimenti amministrativi sono atti ed oneri burocratici
che devono essere eseguiti con diverse modalità e tempistiche nel corso dello
svolgimento delle attività di gestione
dei rifiuti.
riferimenti normativi:
- articolo 193
d.lgs. n.152/06
L’articolo 193 del d.lgs. n.152/06 prevede che durante il trasporto i
rifiuti devono essere accompagnati dal formulario di identificazione firmato e
datato dal produttore (o detentore) e controfirmato dal trasportatore.
Il FIR è redatto in quattro esemplari: una copia rimane al produttore o
detentore, le altre tre, sottoscritte e datate in arrivo dal destinatario, sono
acquisite una dal destinatario, e due dal trasportatore che provvede a
trasmetterne una al produttore.
I dati da riportare nel FIR:
- nome e indirizzo del produttore e del
detentore
- origine, tipologia e quantità del rifiuto
- impianto di destinazione
- data e percorso
- nome e indirizzo del destinatario
Fino all’entrata in vigore dei decreti di attuazione dell’articolo
188-bis del codice ambientale per la definizione dei nuovi modelli di
formulario, anche in formato digitale al fine della trasmissione dei dati al
Registro elettronico nazionale, rimane in vigore il modello
attualmente in uso (D.M. 1 aprile 1998, n.145).
Casi di esonero
· trasporto di
rifiuti urbani e assimilati verso:
-
i centri di raccolta di cui all'articolo 183 (centri
comunali), effettuato dal produttore iniziale degli stessi;
-
il soggetto che gestisce il servizio pubblico
· trasporti di
rifiuti speciali non pericolosi, effettuati dal produttore dei rifiuti stessi
in modo occasionale e saltuario (sono considerati occasionali e saltuari i
trasporti effettuati per non più di cinque volte l'anno, che non eccedano la
quantità giornaliera di trenta chilogrammi o di trenta litri);
· trasporto di
rifiuti speciali prodotti da attività agricole o agroindustriali o della pesca
effettuato dal produttore in modo occasionale e saltuario, per il conferimento
al gestore del servizio pubblico di raccolta, ovvero al circuito organizzato di
raccolta di cui all'articolo 183, comma 1, lettera pp), con i quali sia stata
stipulata apposita convenzione.
Cosa è cambiato con il Dlgs
116/2020
• è riconosciuta la possibilità di
trasmissione della quarta copia del formulario mediante posta elettronica certificata sempre che il trasportatore assicuri la
conservazione del documento originale ovvero provveda, successivamente,
all'invio dello stesso al produttore;
• è prevista la diminuzione dei tempi di conservazione dei formulari da 5 anni a 3 anni;
• è prevista una fase transitoria, applicabile
fino alla data di entrata in vigore dei nuovi modelli di formulario, prevedendo
che, in alternativa alle modalità di vidimazione ordinaria, il formulario di
identificazione del rifiuto possa essere prodotto in format esemplare
identificato da un numero univoco, tramite apposita applicazione raggiungibile
attraverso i portali istituzionali delle Camere di Commercio, da stamparsi e
compilarsi in duplice copia. La medesima applicazione rende disponibile, a
coloro che utilizzano propri sistemi gestionali per la compilazione dei
formulari, un accesso dedicato al servizio anche in modalità telematica al fine
di consentire l'apposizione del codice univoco su ciascun formulario. Una copia
rimane presso il produttore e l'altra accompagna il rifiuto fino a
destinazione. Il trasportatore trattiene una fotocopia del formulario compilato
in tutte le sue parti. Gli altri soggetti coinvolti ricevono una fotocopia del
formulario completa in tutte le sue parti. Anche in questo caso, le copie del
formulario devono essere conservate per tre anni;
• è introdotta precisazione, ai fini
dell’applicazione dell’esonero dalla tenuta dal formulario per i trasporti
occasionali o saltuari, che sono considerati occasionali e
saltuari i trasporti effettuati per non più di cinque volte l'anno, che non eccedano la quantità giornaliera di trenta chilogrammi o di
trenta litri;
• è introdotto il chiarimento che per i
rifiuti oggetto di spedizioni transfrontaliere, il formulario è sostituito dai
documenti previsti dall'articolo 194, riferiti alla spedizione
transfrontaliera, anche con riguardo alla tratta percorsa su territorio
nazionale;
• per il trasporto dei
fanghi di depurazione, è introdotto il chiarimento del rapporto tra il
formulario di identificazione ed il documento speciale previsto dal decreto
legislativo 99/92 per l’utilizzazione agronomica dei fanghi di depurazione,
precisando che il documento ordinario di trasporto rimane quello previsto dalla
disciplina speciale e che il formulario di identificazione può sostituire il
documento di previsto dal decreto fanghi a condizione che siano espressamente
riportate in maniera chiara e leggibile le specifiche informazioni previste in
allegato III A del decreto, nonché le sottoscrizioni richieste, ancorché non previste
nel modello del formulario;
• è inserita la precisazione che la micro-raccolta, intesa come raccolta di rifiuti da parte di un
unico raccoglitore o trasportatore presso più produttori o detentori, svolta
con lo stesso automezzo, ovvero presso diverse unità locali dello stesso
produttore, deve essere effettuata nel termine massimo di 48 ore e che nei
formulari di identificazione dei rifiuti devono essere indicate tutte le tappe
intermedie effettuate. Nel caso in cui il percorso dovesse subire delle
variazioni, nello spazio relativo alle annotazioni deve essere indicato a cura
del trasportatore il percorso realmente effettuato;
• è inserita la precisazione che gli
stazionamenti dei veicoli in configurazione di trasporto, nonché le soste
tecniche per le operazioni di trasbordo, ivi compresi quelli effettuati con
cassoni e dispositivi scarrabili, o con altre carrozzerie mobili che proseguono
il trasporto, non rientrano nelle attività di stoccaggio, purché le stesse
siano dettate da esigenze di trasporto e non superino le 72 ore, escludendo dal computo i giorni interdetti alla
circolazione.
• è inserita la precisazione che il formulario
di identificazione sostituisce a tutti gli effetti il modello F di cui al
decreto ministeriale 16 maggio 1996, n. 392 e la scheda di cui all'allegato IB
del decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del
mare 8 aprile 2008 (centri di raccolta);
• è introdotto un chiarimento sulla responsabilità delle informazioni inserite, precisando che
nella compilazione del formulario di identificazione ogni operatore è
responsabile delle informazioni inserite e sottoscritte nella parte di propria
competenza e che il trasportatore non è responsabile per quanto indicato nel
formulario di identificazione dal produttore o dal detentore dei rifiuti e per
le eventuali difformità tra la descrizione dei rifiuti e la loro effettiva
natura e consistenza, fatta eccezione per le difformità riscontrabili in base
alla comune diligenza;
• rimane chiarita l’applicazione delle
semplificazioni già previste per i rifiuti agricoli e per i trasporti
effettuati verso la sede della cooperativa o del consorzio di cui si è soci,
nonché esonero alla tenuta dal formulario per l’ipotesi di trasporto verso il
gestore del servizio pubblico di raccolta, o verso il circuito organizzato di
raccolta con i quali sia stata stipulata apposita convenzione (articolo 193,
commi 7, 8 e 12);
• si innalza da 10 a 15 km la distanza
percorribile tra fondi nella disponibilità della medesima azienda agricola
senza formulario.
Risulta introdotto un importante chiarimento
sulle modalità di trasporto dei rifiuti derivanti da attività di manutenzione e
di assistenza sanitaria (articolo 193, commi 18, 19 e 20).
Le nuove disposizioni disciplinano in modo
parzialmente diverso le varie fattispecie. In particolare:
• rifiuti provenienti da assistenza sanitaria
domiciliare
- si precisa che
si considerano prodotti presso l'unità locale, sede o domicilio dell'operatore
che svolge tali attività;
- la
movimentazione di quanto prodotto, dal luogo dell'intervento fino alla sede di
chi lo ha svolto, non comporta l'obbligo di tenuta del formulario di
identificazione del rifiuto e non necessita di iscrizione all'Albo ai sensi
dell'articolo 212;
• rifiuti derivanti da attività di
manutenzione e piccoli interventi edili, ivi incluse le attività di pulizia e
sanificazione
- si considerano
prodotti presso l'unità locale, sede o domicilio del soggetto che svolge tali
attività. Nel caso di quantitativi limitati che non giustificano l'allestimento
di un deposito dove è svolta l'attività, il trasporto dal luogo di effettiva
produzione alla sede, in alternativa al formulario di identificazione, è
accompagnato dal documento di trasporto (DDT) attestante il luogo di effettiva
produzione, tipologia e quantità dei materiali, indicando il numero di colli o
una stima del peso o volume, il luogo di destinazione;
• attività di manutenzione delle
infrastrutture e delle reti e movimentazione del materiale tolto d'opera
prodotto
- al fine di
consentire le opportune valutazioni tecniche e di funzionalità dei materiali
riutilizzabili, il trasporto è accompagnato dal documento di trasporto (DDT)
attestante il luogo di effettiva produzione, tipologia e quantità dei
materiali, indicando il numero di colli o una stima del peso o volume, il luogo
di destinazione.
Riferimento
normativo
-
Articolo 193-bis, d.lgs. 152/06
La fattispecie era disciplinata sia dall’articolo 193, che dall’articolo
2 del DM 24 aprile 2014, Disciplina delle modalità di applicazione a regime
del SISTRI del trasporto intermodale nonché specificazione delle categorie di
soggetti obbligati ad aderire, ex articolo 188-ter, comma 1 e 3 del decreto
legislativo n. 152 del 2006 (DM abrogato a seguito dell’abrogazione del
SiSTRI disposta con l’articolo 6 del DL 135/2018).
• il deposito di rifiuti nell'ambito di
attività intermodale di carico e scarico, di trasbordo e di soste tecniche
all'interno di porti, scali ferroviari, interporti, impianti di
terminalizzazione e scali merci, effettuato da soggetti ai quali i rifiuti sono
affidati in attesa della presa in carico degli stessi da parte di un'impresa
navale o ferroviaria o che effettua il successivo trasporto, non costituisce attività di stoccaggio a condizione che
non superi il termine finale di trenta giorni e che i rifiuti siano presi in
carico per il successivo trasporto entro sei giorni dalla data d'inizio
dell'attività di deposito;
• risultano disciplinate le rispettive
responsabilità.
riferimenti normativi:
- articolo 190
d.lgs. n.152/06
L’articolo 190 del codice ambientale prevede
l’obbligo di tenere un registro cronologico di carico
e scarico, in cui sono indicati per ogni tipologia di rifiuto:
-
la
quantità prodotta,
-
la
natura e l'origine di tali rifiuti
-
la
quantità dei prodotti e materiali ottenuti dalle operazioni di trattamento
quali preparazione per riutilizzo, riciclaggio e altre operazioni di recupero
-
gli
estremi del formulario di identificazione di cui all'articolo 193, laddove
previsto
Soggetti obbligati
• chiunque
effettua a titolo professionale attività di raccolta e trasporto di rifiuti,
• i
commercianti e gli intermediari di rifiuti senza detenzione,
• le
imprese e gli enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento di
rifiuti,
• i
Consorzi e i sistemi riconosciuti, istituiti per il recupero e riciclaggio
degli imballaggi e di particolari tipologie di rifiuti,
• le
imprese e gli enti produttori iniziali di rifiuti pericolosi
• le
imprese e gli enti produttori iniziali di rifiuti non pericolosi di cui
all'articolo 184, comma 3, lettere c), d) e g) del codice ambientale (lavorazioni
industriali, artigianali, fanghi dalla potabilizzazione delle acque)
Soggetti esonerati
• gli
imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile, con un volume
di affari annuo non superiore a euro ottomila,
• le
imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi, di cui
all'articolo 212, comma 8 (iscritti all’Albo nazionale gestore in procedura
semplificata),
• per
i soli rifiuti non pericolosi, le imprese e gli enti produttori iniziali che
non hanno più di dieci dipendenti.
Tempistiche per le annotazioni
a) per i produttori iniziali, almeno entro
dieci giorni lavorativi dalla produzione del rifiuto e dallo scarico del
medesimo;
b) per i soggetti che effettuano la raccolta
e il trasporto, almeno entro dieci giorni lavorativi dalla data di consegna dei
rifiuti all'impianto di destino;
c) per i commercianti, gli intermediari e i
consorzi, almeno entro dieci giorni lavorativi dalla data di consegna dei
rifiuti all'impianto di destino;
d) per i soggetti che effettuano le
operazioni di recupero e di smaltimento, entro due giorni lavorativi dalla
presa in carico dei rifiuti.
Cosa è cambiato con il Dlgs 116/2020
• il
registro di carico e scarico è denominato “registro cronologico di carico e
scarico” (in analogia alla direttiva 2018/851);
• i
soggetti obbligati ed i soggetti esonerati sono indicati per esteso, senza un
richiamo (come in precedenza) all’articolo 189, comma 3 (in passato il richiamo
aveva creato dubbi interpretativi nel rapporto tra soggetti obbligati e
soggetti esonerati);
• vengono
inserite anche le indicazioni relative alla quantità dei prodotti e materiali
ottenuti dalle operazioni di trattamento quali preparazione per riutilizzo,
riciclaggio ed altre operazioni di recupero (espressamente previsto nella nuova
direttiva);
• risulta
chiarito con maggiore precisione il momento a decorrere dal quale si computano
i giorni previsti per le annotazioni sul registro;
• per
i Consorzi risulta chiarito che i soggetti e le organizzazioni di cui agli
articoli 221, comma 3, lettere a) e c), 223, 224, 228, 233, 234 e 236, possono
adempiere all'obbligo di tenuta del registro cronologico tramite i documenti
contabili, con analoghe funzioni, tenuti ai sensi delle vigenti normative;
• risulta
riportata in maniera più chiara la semplificazione che era stata introdotta nel
collegato ambientale - art.69 L.221/2015 - per parrucchieri, tatuatori,
estetiste, imprenditori agricoli (per analogia sono aggiunti manicure e
pedicure):
·
gli
imprenditori agricoli produttori iniziali di rifiuti pericolosi, nonché i
soggetti esercenti attività ricadenti nell'ambito dei codici ATECO 96.02.01,
96.02.02, 96.02.03 e 96.09.02 che producono rifiuti pericolosi, compresi aghi,
siringhe e oggetti taglienti usati ed i produttori di rifiuti pericolosi non
rientranti in organizzazione di ente o impresa, quando obbligati alla tenuta
del registro cronologico, possono adempiere all'obbligo con una delle seguenti
modalità:
-
con la
conservazione progressiva per tre anni del formulario;
-
con la
conservazione per tre anni del documento di conferimento rilasciato dal
soggetto che provvede alla raccolta di detti rifiuti nell'ambito del circuito
organizzato di raccolta
Tali modalità sono valide anche ai fini
della comunicazione al catasto.
La norma (arrt.190) al momento presenta un
refuso, in quanto questa ultima frase (che doveva essere riferita ad entrambe
le fattispecie indicate risulta per errore inserita soltanto sotto la lettera
b), sembrando applicabile, quindi, la semplificazione, soltanto ai circuiti
organizzati di raccolta che sono normalmente effettuati per la raccolta dei
rifiuti agricoli.
Nelle more della rettifica normativa,
bisogna comunque considerare che questa disposizione va letta in combinato
disposto con l’articolo 69 della legge 221 del 2015 (che non è abrogato) e,
quindi, è comunque possibile considerare la semplificazione applicabile a tutte
le fattispecie lì previste (tutti i soggetti indicati ed anche con riferimento
alle attività di trasporto conto proprio di rifiuti) anche se non riportate integralmente
nel nuovo articolo 190;
• viene
estesa la possibilità di adempiere tramite le organizzazioni di categoria
interessate o loro società di servizi che è prevista per i soggetti la cui
produzione annua di rifiuti non eccede le venti tonnellate di rifiuti non
pericolosi (prima erano 10) e le quattro tonnellate di rifiuti pericolosi
(prima erano 2);
• viene
inserita semplificazione per operazioni di gestione dei centri di raccolta di
cui all'articolo 183 che sono escluse dagli obblighi di registro limitatamente
ai rifiuti non pericolosi. È chiarito che per i rifiuti pericolosi la
registrazione del carico e dello scarico può essere effettuata contestualmente
al momento dell'uscita dei rifiuti stessi dal centro di raccolta e in maniera
cumulativa per ciascun codice dell'elenco dei rifiuti;
• vengono
definite con maggiore precisione le modalità di conservazione dei registri che
vanno tenuti, o resi accessibili, presso ogni impianto di produzione, di
stoccaggio, di recupero e di smaltimento di rifiuti, ovvero per le imprese che
effettuano attività di raccolta e trasporto e per i commercianti e gli
intermediari, presso la sede operativa;
• viene
diminuita la durata dell’obbligo di
conservazione che passa da 5 anni
a 3 anni, fermo restando l’obbligo di
conservazione a tempo indeterminato dei registri relativi alle operazioni di
smaltimento dei rifiuti in discarica;
• viene
chiarito che i registri relativi ai rifiuti prodotti dalle attività di
manutenzione delle infrastrutture e delle reti (di cui all'articolo 230)
possono essere tenuti nel luogo di produzione dei rifiuti, così come definito
dal medesimo articolo. Per rifiuti prodotti dalle attività di manutenzione di
impianti e infrastrutture a rete e degli impianti a queste connessi, i registri
possono essere tenuti anche presso le sedi di coordinamento organizzativo del
gestore, o altro centro equivalente, previa comunicazione all'ARPA
territorialmente competente ovvero al Registro Elettronico nazionale.
Nelle more della definizione del nuovo modello di
registro, rimangono comunque utilizzabili i modelli precedentemente in vigore
(DM 148 del 01 aprile 1998)
riferimenti normativi:
- articolo
189 d.lgs. n.152/06
I soggetti obbligati hanno l’obbligo di
comunicare annualmente alle Camere di Commercio (entro il 30 aprile) con le
modalità previste dalla legge 25 gennaio 1994, n. 70, le quantità e le
caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto delle predette attività, dei
materiali prodotti all’esito delle attività di recupero nonché i dati relativi
alle autorizzazioni ed alle comunicazioni inerenti le attività di gestione dei
rifiuti.
Il modello della comunicazione è approvato
annualmente con appositi DPCM.
Soggetti obbligati
• chiunque effettua a titolo professionale
attività di raccolta e trasporto di rifiuti,
• i commercianti e gli intermediari di rifiuti
senza detenzione,
• le imprese e gli enti che effettuano
operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti,
• i Consorzi e i sistemi riconosciuti
istituiti per il recupero e riciclaggio degli imballaggi e di particolari
tipologie di rifiuti,
• le imprese e gli enti produttori iniziali di
rifiuti pericolosi,
• le imprese e gli enti produttori iniziali di
rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 184, comma 3 lettere c), d) e g)
(lavorazioni industriali, artigianali, fanghi dalla potabilizzazione delle
acque)
Soggetti esonerati
• gli imprenditori agricoli di cui
all’articolo 2135 del codice civile con un volume di affari annuo non superiore
a euro ottomila,
• le imprese che raccolgono e trasportano i
propri rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 212, comma 8 (iscritti
all’Albo nazionale in procedura semplificata),
• per i soli rifiuti non pericolosi, le
imprese e gli enti produttori iniziali che non hanno più di dieci dipendenti.
A seguito del decreto
legislativo n.116 del 2020
• non ci sono novità sostanziali rispetto ai
soggetti obbligati ed ai soggetti esonerati;
• è aggiunta (comma 4), la possibilità per i
produttori di rifiuti speciali di far fare la comunicazione MUD, oltre che per
mezzo del gestore del servizio pubblico di raccolta competente per territorio a
cui è effettuato il conferimento dei rifiuti, anche per mezzo del gestore del
circuito organizzato di raccolta previa apposita convenzione;
• è disciplinato il percorso per garantire il
coordinamento tra la Sezione nazionale del catasto dei rifiuti e il REN
delegando a decreto le modalità di coordinamento tra le comunicazioni al
Catasto e gli adempimenti trasmessi al REN, garantendone la precompilazione
automatica.
6. REGISTRO ELETTRONICO NAZIONALE DI TRACCIABILITÀ
riferimenti
normativi:
- Articolo 6 d.l. n.135 del 2018
- Articolo 188-bis d.lgs. n.152 del 2006
Tra le
novità introdotte dalla direttiva 2018/851/UE, sotto il profilo della di
tracciabilità, rientra l’obbligo per gli Stati di istituire, a livello
nazionale, un Registro elettronico nazionale o registri coordinati.
Il
Registro elettronico nazionale di tracciabilità è stato istituito in Italia con
l’articolo 6, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, contestualmente
all’abrogazione del sistema di tracciabilità SISTRI.
L’articolo
188-bis del codice ambientale, quindi, definisce i principi di
riferimento della disciplina attuativa del Registro, da adottare con apposito
decreto.
In
particolare, il decreto di natura regolamentare dovrà stabilire i modelli ed i
formati relativi ai registri di carico e scarico ed al formulario di
identificazione del rifiuto di cui agli articoli 190 e 193 con l’indicazione
delle modalità di compilazione, vidimazione e tenuta in formato digitale degli
stessi, le modalità di iscrizione al Registro da parte dei soggetti obbligati e
di coloro che intendano aderirvi in maniera volontaria. Il nuovo decreto
stabilirà, inoltre, tempi e modalità per la trasmissione dei dati contenuti nei
registri e nei formulari al Registro Elettronico nazionale.
La norma
citata definisce la struttura del Registro quale piattaforma digitale, gestita
dalla Direzione competente del Ministero dell’ambiente attraverso l’Albo
Gestori Ambientali.
La
piattaforma digitale è articolata in una sezione anagrafica che contiene le
informazioni anagrafiche dei soggetti iscritti, con riferimento alle
autorizzazioni all’esercizio delle specifiche attività di gestione dei rifiuti
ed una sezione tracciabilità ove confluiscono i dati ambientali relativi agli
adempimenti di cui agli articoli 190 e 193, da inviare in forma telematica.
L’introduzione
del Registro elettronico (quando sarà a regime) comporterà, quindi, per le
imprese diversi tipi di obblighi:
-
un obbligo di iscrizione al Registro
elettronico;
-
un obbligo, nei soli casi che saranno
stabiliti dal decreto ministeriale in corso di definizione, di adottare i
modelli digitali di registri di carico e scarico e dei formulari di
identificazione dei rifiuti;
-
un obbligo di trasmissione dei dati dei
registri di carico e scarico e dei formulari al Registro elettronico, con le
modalità e le tempistiche che saranno indicate nel decreto ministeriale in
corso di definizione;
-
un obbligo di dotare i mezzi di trasporto dei
rifiuti di idonei strumenti di geolocalizzazione, nei casi che saranno indicate
nel decreto ministeriale in corso di definizione;
-
un obbligo di trasmissione dei dati relativi
ai percorsi dei mezzi di trasporto dei rifiuti con le modalità e le tempistiche
che saranno indicate nel decreto ministeriale in corso di definizione.
Con
riferimento all’iscrizione al Registro, l’articolo 6 del decreto legge n.135
del 2018 prevede un obbligo di iscrizione a carico di:
·
enti ed imprese che effettuano il trattamento
dei rifiuti (pericolosi e non pericolosi),
·
produttori di rifiuti pericolosi,
·
enti ed imprese che raccolgono o trasportano rifiuti
pericolosi a titolo professionale o che operano in qualità di commercianti ed
intermediari di rifiuti pericolosi;
·
Consorzi istituiti per il recupero e il
riciclaggio di particolari tipologie di rifiuti,
·
imprese ed enti produttori iniziali di rifiuti
non pericolosi di cui all'articolo 184, comma 3, lettere c), d) e g), vale a
dire produttori di rifiuti derivanti da lavorazioni industriali, da lavorazioni
artigianali e di rifiuti derivanti dall'attività di recupero e smaltimento di
rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle
acque e dalla depurazione delle acque reflue, nonché i rifiuti da abbattimento
di fumi, dalle fosse settiche e dalle reti fognarie.
La
disposizione citata, con riferimento agli obblighi di iscrizione, per i rifiuti
non pericolosi contiene un rinvio ai “soggetti di cui all’articolo 189, comma 3”.
Dovrebbero quindi restare esonerati dall’obbligo di iscrizione al Registro
elettronico i soggetti che risultano esonerati, ai sensi dell’articolo 189,
comma 3, dalla presentazione della comunicazione MUD (ma anche dal registro
cronologico di carico e scarico, essendo indicati in modo identico
nell’articolo 190). Sebbene non sia espressamente indicato, il complesso
normativo e la ratio delle disposizioni sembrerebbero orientare per tale
interpretazione.
7. LA DISCIPLINA DEGLI ACCORDI DI PROGRAMMA E DEI CIRCUITI ORGANIZZATI DI RACCOLTA
7.1. ACCORDI DI PROGRAMMA
riferimenti normativi:
- articolo 206
d.lgs. n.152/06
In generale, gli accordi di programma, nella logica di superamento delle
obsolete politiche di command and control, rappresentano un elemento di
flessibilità nelle relazioni istituzionali tra amministrazione pubblica ed
organizzazioni di rappresentanza, assicurando il dialogo, l’approfondimento e
la determinazione delle politiche di tutela ambientale.
L’accordo volontario rappresenta, normalmente, uno strumento in grado
di favorire lo sviluppo di approcci di
condivisione delle responsabilità per la salvaguardia dell’ambiente tra
soggetti pubblici e privati, attraverso l’integrazione di considerazioni di
tipo ambientale nell’ambito di processi decisionali, sia a livello di impresa,
che di settore pubblico.
Con specifico riferimento agli accordi di programma per la prevenzione
della produzione dei rifiuti, si evidenzia come questi possano costituire un
meccanismo giuridico idoneo ed adeguato ad affrontare, in un leale spirito di
collaborazione tra Pubblica amministrazione ed associazioni di categoria, le molteplici
problematiche connesse ad una corretta politica integrata in materia di
rifiuti, nell’ottica di assicurare un’elevata protezione dell’ambiente, controlli efficaci e la riduzione dei flussi
di rifiuti.
A partire dal d.lgs. n.22/97, attraverso gli accordi di programma,
elaborati a livello locale, è stato possibile creare virtuosi circuiti di
raccolta e sistemi integrati di gestione dei rifiuti speciali, con lo scopo di
stimolare un’applicazione concreta e convinta della normativa, di aumentare
l’efficacia dei controlli pubblici, di
semplificare gli oneri burocratici a carico delle imprese e di favorire la raccolta differenziata. Nel corso degli ultimi anni, quindi, gli accordi
di programma hanno svolto un ruolo fondamentale, avendo consentito la prevenzione
e la riduzione della quantità e pericolosità dei rifiuti, il loro recupero,
riutilizzo e riciclaggio e, infine, il conseguimento di livelli ottimali di
utenza raggiunta dai servizi di recupero e smaltimento.
In merito, si
ricorda come la materia abbia subito, a
seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 16 gennaio 2008, n.4,
profonde modifiche.
In particolare, con
il decreto legislativo citato, erano stati modificati gli articoli 181 e 206
del d.lgs. n.152/06 ed è stato statuito testualmente, tra l’altro, il divieto
di stabilire, per mezzo di accordi e contratti di programma, deroghe alla
normativa comunitaria ed alla normativa nazionale primaria vigente, pur essendo
contemplata la possibilità di integrare e modificare norme tecniche e
secondarie in conformità con quanto previsto dalla normativa nazionale
primaria.
A seguito
dell’entrata in vigore di tale disposizione, alcune amministrazioni hanno
sollevato dubbi circa la conformità alla disciplina di riferimento delle intese
precedentemente sottoscritte, con il conseguente arresto di molti circuiti di
raccolta, da tempo operativi ed efficaci.
Con la l. n.210/08,
di conversione del d.l. n. 172/08, è stata quindi disposta la perdurante
efficacia degli accordi di programma sottoscritti prima dell’entrata in vigore
del d.lgs. n. 4/08, anche se contenenti previsioni derogatorie alla legge
nazionale vigente, purché conformi alla disciplina comunitaria.
A seguito di
diverse interrogazioni parlamentari sul punto, con la legge di conversione del
d.l. n.208/08, è stata disposta la modifica dell’articolo 206, comma 3 del
d.lgs. n.152/06, contemplando la possibilità che con tali strumenti, pur nel
rispetto delle norme comunitarie, sia possibile introdurre specifiche
semplificazioni amministrative.
La norma, quindi,
eliminando il divieto espresso di introdurre agevolazioni burocratiche in
deroga alla normativa vigente, consente alle imprese di concordare con la
pubblica amministrazione la realizzazione di circuiti di raccolta dei rifiuti e
le modalità per l’effettuazione delle operazioni di trasporto e conferimento
nelle isole ecologiche appositamente allestite, assicurando il pieno controllo
e l’efficacia del sistema.
D’altra parte, rimane
aperta la possibilità di valutare adeguate semplificazioni negli adempimenti
burocratici che, quando non siano strettamente funzionali alla tutela
ambientale, rischiano di moltiplicare inutilmente i costi, anche economici, a
carico delle imprese, aprendo la via all’evasione ed all’illegalità.
7.2. CIRCUITO ORGANIZZATO DI RACCOLTA
riferimenti normativi:
- articolo 183,
comma 1, lettera pp), d.lgs. n.152/06
Il codice ambientale
subordina diverse semplificazioni alla condizione che il conferimento dei
rifiuti sia effettuato nell’ambito di un circuito
organizzato di raccolta.
Ai sensi dell’articolo
183, comma 1, lettera pp) del codice ambientale per avere circuito organizzato
di raccolta occorre che il circuito sia organizzato:
-
da Consorzi
di cui ai titoli II e III della parte quarta del decreto e alla normativa settoriale;
ovvero
-
sulla base
di un accordo di programma stipulato tra la pubblica amministrazione ed
associazioni imprenditoriali rappresentative sul piano nazionale, o loro
articolazioni territoriali;
ovvero
-
sulla base
di una convenzione-quadro stipulata tra associazioni imprenditoriali
rappresentative sul piano nazionale, o loro articolazioni territoriali ed i
responsabili della piattaforma di conferimento, o dell’impresa di trasporto dei
rifiuti, dalla quale risulti la destinazione definitiva dei rifiuti.
All’accordo
di programma o alla convenzione-quadro deve seguire la stipula di un contratto
di servizio tra il singolo produttore ed il gestore della piattaforma di
conferimento, o dell’impresa di trasporto dei rifiuti, in attuazione del predetto accordo o della
predetta convenzione.
Tra le semplificazioni
accordate dal codice ambientale in caso di conferimento ad un circuito
organizzato di raccolta si segnalano:
-
articolo
189, comma 4: nel caso in cui i produttori di rifiuti speciali conferiscano i
medesimi al servizio pubblico di raccolta competente per territorio, ovvero ad
un circuito organizzato di raccolta la comunicazione al catasto dei rifiuti è
effettuata dal gestore del servizio limitatamente alla quantità conferita;
-
articolo
190, comma 6: possibilità per gli imprenditori
agricoli e per i soggetti esercenti attività ricadenti nell'ambito dei
codici ATECO 96.02.01, 96.02.02, 96.02.03 e 96.09.02 che producono rifiuti
pericolosi, compresi quelli aventi codice EER 18.01.03*, relativi ad aghi, siringhe
e oggetti taglienti usati di adempiere all’obbligo di tenuta del registro
cronologico di carico e scarico e di invio della comunicazione MUD con la
conservazione progressiva per tre anni del formulario di identificazione o del
documento di conferimento rilasciato dal soggetto che provvede alla raccolta di
detti rifiuti nell'ambito del circuito organizzato di raccolta;
-
articolo
193, comma 8: esonero dall’obbligo di formulario di identificazione nel caso di
trasporto di rifiuti speciali derivanti da attività agricola o agroindustriale
o della pesca effettuato dal produttore in modo occasionale e saltuario, per il
conferimento al gestore del servizio pubblico di raccolta, ovvero al circuito
organizzato di raccolta;
-
articolo
212, comma 19-bis: esonero dall’obbligo di iscrizione all’Albo nazionale dei
gestori ambientali per gli imprenditori agricoli, per il trasporto dei propri
rifiuti effettuato all'interno del territorio provinciale o regionale dove ha
sede l'impresa ai fini del conferimento degli stessi nell'ambito del circuito
organizzato di raccolta.