Circolari

Circ. n. 33/2021

Legge di Delegazione Europea 2019-2020 e Direttiva UE 2019/1152 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 relativa a condizionidi lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea.

Facendo seguito alla Circolare del Servizio Legislativo – Legale – Fiscale n. 21 del 29 aprile 2021 (prot. n. 1790) di commento alla Legge n. 53/2021, c.d. Legge di Delegazione Europea 20192-2020 nella quale, come noto, il Governo viene delegato al recepimento di tutta una serie di direttive comunitarie, riteniamo opportuno approfondire in questa sede il richiamo alla Direttiva UE 2019/1152 in materia di condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione Europea che il Governo è chiamato ad attuare entro il 1° agosto 2022 (entro 3 anni dalla sua approvazione).

Tale direttiva, varata dal Parlamento UE ed entrata in vigore ad agosto 2019, rappresenta uno degli atti più significativi degli ultimi anni a livello comunitario indicante un orientamento preciso in materia di lavoro. Pertanto, una prima analisi dei contenuti ci permette di capire in quale direzione dovrà muoversi il legislatore italiano nell’adottare eventuali specifiche misure.

La direttiva è composta da 25 articoli e sostituisce quanto previsto dalla precedente direttiva 91/533/CEE, emanata in presenza di un mercato del lavoro totalmente diverso e che sarà abrogata dal 1 agosto 2022.

I suoi capisaldi sono: obblighi di informazione (artt. 4-7), durata massima del periodo di prova (art. 8), diritto in favore dei lavoratori ad una c.d. prevedibilità minima del lavoro (art. 10), cui si aggiungono disposizioni specifiche sui contratti a chiamata (art. 11), sulla transizione a un’altra forma di lavoro (art. 12) e sullo svolgimento di formazione obbligatoria (art. 13).

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  1. OBBLIGHI DI INFORMAZIONE (artt. 4-7)

Secondo la direttiva il datore di lavoro è tenuto a fornire per iscritto a ciascun lavoratore le informazioni relative agli elementi essenziali del rapporto di lavoro, con alcuni contenuti imprescindibili tra cui in particolare: luogo di lavoro, data di inizio del rapporto, titolo/livello o natura/categoria impiego attribuito, retribuzione, contratti collettivi di riferimento, periodo di prova, organizzazione/orario di lavoro etc. - per un elenco completo si veda art. 4, comma 2.

Si tratta di informazioni da fornire in forma cartacea o per via elettronica, purché siano accessibili al lavoratore, possano essere stampate, conservate e garantiscano al datore di lavoro conservazione della prova di trasmissione e di ricezione.

L’obbligo di informazione, che scatta normalmente all’instaurazione di un rapporto di lavoro, ricorre nuovamente – “quanto prima possibile e, al più tardi, il primo giorno di decorrenza degli effetti della modifica” - in due ipotesi:

  • in caso di modifiche degli elementi del rapporto di lavoro già comunicati;

  • in caso di missione/distacco in altro Stato membro europeo o in paesi extra UE relativamente alle dovute informazioni supplementari (es. durata prevista, valuta in cui corrispondere retribuzione, etc.).

  1. DURATA MASSIMA PERIODO DI PROVA (art. 8)

Secondo la direttiva in via generale il periodo di prova NON deve essere SUPERIORE A 6 MESI, fatto salvo che per rapporti a termine la durata dovrà essere proporzionalmente ridotta da ciascun Stato membro.

Si stabilisce inoltre che in caso di rinnovo di un contratto per la stessa funzione e gli stessi compiti, il rapporto di lavoro che si viene a concretizzare non debba essere soggetto ad un nuovo periodo di prova.

  1. PREVEDIBILITA’ MINIMA DEL LAVORO (art. 10)

Quando l’organizzazione del lavoro sia in tutto o in gran parte imprevedibile, il lavoratore, senza per questo subire conseguenze negative, può rifiutarsi di eseguire la prestazione, a meno che non ricorrano entrambe le seguenti condizioni:

  • il lavoro è svolto entro ore e giorni di riferimento predeterminati nel contratto di lavoro (e indicati nell’informativa resa a suo tempo al lavoratore quanto fu assunto o più avanti in caso di modifica del rapporto);

  • il lavoratore viene informato della nuova prestazione con un preavviso ragionevole (anch’esso da indicare in sede di informativa al lavoratore).

  1. CONTRATTI A CHIAMATA (art. 11)

Rispetto ai contratti a chiamata, tipologia presente come noto anche in Italia (c.d. lavoro intermittente) e caratterizzati per antonomasia da una limitata prevedibilità ex ante nello svolgimento della prestazione, la direttiva obbliga ciascun Stato membro ad adottare specifiche misure per prevenire pratiche abusive, tra cui:

  • limitazioni per uso e durata di contratti a chiamata o di analoghi contratti di lavoro;

  • presunzione (“confutabile”) dell’esistenza di un contratto di lavoro con ammontare minimo di ore retribuite considerando la media delle ore lavorate in un determinato periodo;

  • altre misure equivalenti che garantiscano efficace prevenzione pratiche abusive.

  1. TRANSIZIONE A UN’ALTRA FORMA DI LAVORO (art. 12)

In base alla direttiva, i lavoratori con almeno 6 mesi di servizio presso lo stesso datore di lavoro, terminato il loro eventuale periodo di prova, hanno il diritto di chiedere una forma di lavoro con condizioni di lavoro più prevedibili e sicure, se disponibile, ricevendo risposta scritta motivata entro 1 mese da richiesta (3 se PMI).

  1. FORMAZIONE OBBLIGATORIA (art. 13)

In ogni Stato membro vale il principio secondo cui la formazione prevista da un datore di lavoro - sia in applicazione di legge che di contratto collettivo – vada considerata come orario di lavoro e sia erogata gratuitamente senza costi per il lavoratore nonché, possibilmente, in orario di lavoro.

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Nel rinviare alla documentazione allegata per eventuali ulteriori approfondimenti, segnaliamo che in termini attuativi ciascun Stato membro:

  • art. 14: potrà comunque consentire che discipline sulle condizioni dei lavoratori contenute nei contratti collettivi di lavoro (CCNL e secondo livello) differiscano da quanto previsto dalla presente direttiva;

  • artt. 17 e 18: dovrà opportunamente adottare specifiche misure atte ad evitare conseguenze sfavorevoli, finanche il licenziamento, di eventuali lavoratori solo per il fatto che questi abbiamo deciso di esercitare i diritti previsti dalla presente direttiva.