Facendo seguito alla Circolare del Servizio
Legislativo – Legale – Fiscale n. 21 del 29 aprile 2021 (prot. n. 1790) di
commento alla Legge n. 53/2021, c.d. Legge di Delegazione Europea 20192-2020 nella
quale, come noto, il Governo viene delegato al recepimento di tutta una serie
di direttive comunitarie, riteniamo opportuno approfondire in questa sede il
richiamo alla Direttiva UE 2019/1152 in
materia di condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione Europea
che il Governo è chiamato ad attuare entro il 1° agosto 2022 (entro
3 anni dalla sua approvazione).
Tale direttiva, varata dal Parlamento UE ed entrata in
vigore ad agosto 2019, rappresenta uno degli atti più significativi degli
ultimi anni a livello comunitario indicante un orientamento preciso in materia
di lavoro. Pertanto, una prima analisi dei contenuti ci permette di capire in
quale direzione dovrà muoversi il legislatore italiano nell’adottare eventuali
specifiche misure.
La direttiva è composta da 25 articoli e sostituisce
quanto previsto dalla precedente direttiva 91/533/CEE, emanata in presenza di
un mercato del lavoro totalmente diverso e che sarà abrogata dal 1 agosto 2022.
I suoi capisaldi sono: obblighi di informazione (artt.
4-7), durata massima del periodo di
prova (art. 8), diritto in favore
dei lavoratori ad una c.d. prevedibilità
minima del lavoro (art. 10), cui
si aggiungono disposizioni specifiche sui contratti
a chiamata (art. 11), sulla transizione a un’altra forma di lavoro (art. 12) e sullo svolgimento di formazione obbligatoria (art. 13).
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OBBLIGHI DI INFORMAZIONE
(artt. 4-7)
Secondo la direttiva il datore di lavoro è tenuto a
fornire per iscritto a ciascun lavoratore le informazioni relative agli elementi essenziali del rapporto di lavoro,
con alcuni contenuti imprescindibili tra cui in particolare: luogo di
lavoro, data di inizio del rapporto, titolo/livello o natura/categoria impiego
attribuito, retribuzione, contratti collettivi di riferimento, periodo di
prova, organizzazione/orario di lavoro etc. - per un elenco completo si veda
art. 4, comma 2.
Si tratta di informazioni da fornire in forma cartacea
o per via elettronica, purché siano accessibili al lavoratore, possano essere
stampate, conservate e garantiscano al datore di lavoro conservazione della
prova di trasmissione e di ricezione.
L’obbligo di informazione, che scatta normalmente
all’instaurazione di un rapporto di lavoro, ricorre nuovamente – “quanto prima possibile e, al più tardi, il
primo giorno di decorrenza degli effetti della modifica” - in due ipotesi:
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in
caso di modifiche degli elementi del rapporto di lavoro già comunicati;
-
in
caso di missione/distacco in altro Stato membro europeo o in paesi extra UE
relativamente alle dovute informazioni supplementari (es. durata prevista,
valuta in cui corrispondere retribuzione, etc.).
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DURATA MASSIMA PERIODO DI PROVA (art.
8)
Secondo la direttiva in via generale il periodo
di prova NON deve essere SUPERIORE A 6 MESI, fatto salvo che per
rapporti a termine la durata dovrà essere proporzionalmente ridotta da ciascun
Stato membro.
Si stabilisce inoltre che in caso di rinnovo di un contratto per la stessa
funzione e gli stessi compiti, il rapporto di lavoro che si viene a
concretizzare non debba essere soggetto ad un nuovo periodo di prova.
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PREVEDIBILITA’ MINIMA DEL LAVORO (art.
10)
Quando l’organizzazione
del lavoro sia in tutto o in gran parte imprevedibile, il lavoratore, senza per questo subire conseguenze negative, può rifiutarsi di eseguire la
prestazione, a meno che non ricorrano entrambe le seguenti condizioni:
-
il
lavoro è svolto entro ore e giorni di
riferimento predeterminati nel contratto di lavoro (e indicati
nell’informativa resa a suo tempo al lavoratore quanto fu assunto o più avanti
in caso di modifica del rapporto);
-
il
lavoratore viene informato della nuova prestazione con un preavviso ragionevole (anch’esso da indicare in sede di informativa
al lavoratore).
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CONTRATTI A CHIAMATA (art. 11)
Rispetto ai contratti a chiamata, tipologia presente come
noto anche in Italia (c.d. lavoro
intermittente) e caratterizzati per antonomasia da una limitata
prevedibilità ex ante nello svolgimento della prestazione, la direttiva obbliga ciascun Stato membro ad
adottare specifiche misure per prevenire pratiche abusive, tra cui:
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limitazioni
per uso e durata di contratti a chiamata o di analoghi contratti di lavoro;
-
presunzione
(“confutabile”) dell’esistenza di un contratto di lavoro con ammontare minimo
di ore retribuite considerando la media delle ore lavorate in un determinato
periodo;
-
altre
misure equivalenti che garantiscano efficace prevenzione pratiche abusive.
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TRANSIZIONE A UN’ALTRA FORMA DI LAVORO (art.
12)
In base alla direttiva, i lavoratori con almeno 6 mesi di servizio presso lo stesso datore di
lavoro, terminato il loro eventuale periodo di prova, hanno il diritto di chiedere una forma di lavoro con
condizioni di lavoro più prevedibili e sicure, se disponibile, ricevendo
risposta scritta motivata entro 1 mese da richiesta (3 se PMI).
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FORMAZIONE OBBLIGATORIA (art.
13)
In ogni Stato membro vale il principio secondo cui la
formazione prevista da un datore di lavoro - sia in applicazione di legge che
di contratto collettivo – vada considerata
come orario di lavoro e sia erogata
gratuitamente senza costi per il lavoratore nonché, possibilmente, in orario di
lavoro.
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Nel
rinviare alla documentazione allegata per eventuali ulteriori approfondimenti,
segnaliamo che in termini attuativi
ciascun Stato membro:
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art. 14: potrà comunque
consentire che discipline sulle condizioni dei lavoratori contenute nei
contratti collettivi di lavoro (CCNL e secondo livello) differiscano da quanto
previsto dalla presente direttiva;
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artt. 17 e 18: dovrà opportunamente adottare specifiche misure
atte ad evitare conseguenze sfavorevoli,
finanche il licenziamento, di eventuali lavoratori solo per il fatto che questi
abbiamo deciso di esercitare i diritti previsti dalla presente direttiva.