Con riferimento al decreto legge in
oggetto, segnaliamo alcune norme in
materia lavoro degne di attenzione e già in vigore dal 14 luglio, rinviando
per una disamina generale del provvedimento alla circolare del Servizio Legislativo–Legale–Fiscale.
Si
tratta del primo provvedimento importante emanato dal Governo nel corso di
questa legislatura che, tuttavia, alla luce del prossimo iter parlamentare
di conversione, potrebbe subire una serie di modifiche.
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MODIFICHE PER CONTRATTO
A TEMPO DETERMINATO (artt. 1 e 3, c. 2)
Cambia il quadro normativo venutosi a
delineare con il Jobs Act con SIGNIFICATIVE MODIFICHE introdotte rispetto
alla disciplina dei contratti a tempo determinato di cui agli artt. 19-29 del decreto
legislativo n. 81/2015:
- durata massima complessiva ridotta a 24 mesi (prima 36
mesi);
- numero di proroghe ammesse ridotto a 4 (prima 5);
- ripristino causali, ora obbligatorie per un rapporto a
tempo determinato che superi i 12 mesi come durata complessiva;
- aumento costo contributivo pari a 0,5% per ciascun rinnovo.
Le
novità si APPLICANO:
“ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati
successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché ai
rinnovi e alle proroghe dei contratti in corso alla medesima data”.
Le modifiche sinteticamente richiamate
determinano, come evidente, d’ora in poi
una radicale limitazione
all’utilizzo dei contratti a tempo determinato rispetto all’impiego che se ne
poteva fare fino ad oggi(1) (per un massimo di 3 anni senza causali).
Soprattutto la riduzione della durata
massima a 24 mesi (conteggiando sempre anche eventuali periodi di missione per
somministrazione di lavoro prestati presso lo stesso datore di lavoro), il
ripristino delle causali obbligatorie qualora si superi una durata complessiva di
12 mesi (anche per effetto di proroghe) e in presenza di rinnovi, insieme alla decisione di aumentare la
contribuzione aggiuntiva NASpI dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo, rappresentano
variabili che impatteranno
significativamente sulle scelte delle imprese di assumere sin dall’inizio
personale con contratti a termine.
Preme sottolineare, come il
provvedimento definisca contratto a tempo determinato quel rapporto di lavoro per
cui viene apposto un termine di durata non superiore a 12 mesi, che potrà
quindi essere liberamente sottoscritto/prorogato entro tale arco di tempo senza
una specifica causale, necessaria invece per qualsiasi rinnovo.
Una durata superiore a 12 mesi – anche per effetto come detto di
proroghe - ma sempre e comunque fino ad un massimo complessivo di 24 mesi, può
essere stabilita solo in presenza di
almeno una CAUSALE, da esplicitare per iscritto, tra quelle richiamate:
- esigenze temporanee/oggettive estranee all’ordinaria
attività;
- esigenze sostitutive di altri lavoratori;
- esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi
e non programmabili dell’attività ordinaria.
In generale, il ripristino delle
causali, seppur in una formulazione diversa e più stringente rispetto a
quella che abbiamo conosciuto ormai diversi anni fa con il decreto legislativo n.
368/2001 - allora si parlava di ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo – ripropone inevitabilmente il tema della verifica
di tali condizioni e dell’interpretazione da dare ai termini utilizzati dal
legislatore, esponendo nuovamente le imprese al rischio di possibili e inevitabili contenziosi (diminuiti invece
negli ultimi anni proprio a fronte dell’eliminazione della causale).
Va letta in tale ottica, l’ulteriore
novità rappresentata dall’aver innalzato
da 120 a 180 giorni il termine entro cui può essere impugnato il contratto dalla
sua cessazione.
Un ultimo significativo cambiamento,
con evidenti e possibili ripercussioni sul costo del lavoro, è rappresentato
dall’art. 3, comma 2, che stabilisce
un COSTO CONTRIBUTIVO CRESCENTE con un aumento
dello 0,5%, ogni volta che si decide il rinnovo del contratto a termine
(nessun aumento è previsto invece in caso di proroga).
In particolare, ciò che aumenterebbe è la contribuzione NASpI
aggiuntiva stabilita sin dal 2012 con la legge 92/2012 (art. 2, comma 28) e
fino ad oggi pari all’1,4% della retribuzione previdenziale imponibile, che
i datori di lavoro sono tenuti a versare per rapporti non a tempo
indeterminato.
Un approfondimento specifico meritano
i LAVORATORI OCCUPATI IN ATTIVITA’
STAGIONALI, intendendo per tali quelle definite dal D.P.R. 1525/1963
(provvedimento che già il Jobs Act e disposizioni precedenti prevedevano di
aggiornare con apposito DM Lavoro, ma che ad oggi rimane ancora l’unico punto
di riferimento) nonché quelle individuate dalla contrattazione collettiva.
Per tali lavoratori NON TROVERA’ APPLICAZIONE IL VINCOLO DELLE CAUSALI nei termini
appena esposti.
Per loro sono CONFERMATE alcune deroghe alla
disciplina generale già presenti:
1.NON APPLICAZIONE DEL LIMITE DI
DURATA MASSIMA COMPLESSIVA (ridotta ora come detto a 24 mesi);
2.ESONERO DAI LIMITI QUANTITATIVI DI
UTILIZZO;
3.ESONERO dalle REGOLE sul c.d. “STOP
and GO”, vale a dire sulle PAUSE da rispettare tra la stipula di un CONTRATTO e
quello SUCCESSSIVO;
4.ESONERO DA CONTRIBUZIONE NASPI
AGGIUNTIVA (in questo caso solo nel caso di occupati in attività stagionali di
cui al D.P.R. 1525/1963 e non di quelle definite tali dalla contrattazione
collettiva).
A questo proposito ci preme ricordare
che, ancorché utilizzati per attività stagionali, gli OTD AGRICOLI SONO ESCLUSI DA TUTTA LA DISCIPLINA DEL CONTRATTO A TEMPO
DETERMINATO.
Ciò in
base a quanto disposto dall’art. 29, comma 1, lettera b), del decreto
legislativo 81/2015 - passaggio normativo non modificato dal provvedimento in
oggetto - secondo cui sono esclusi, in quanto già disciplinati da specifiche
normative “i rapporti di lavoro tra i
datori di lavoro dell’agricoltura e gli operai a tempo determinato, così come
definiti dall’art. 12, comma 2, del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 375”.
Evidenziate le modifiche introdotte
con il provvedimento in oggetto, ricordiamo invece che rimangono INALTERATI gli altri assi portanti della disciplina generale dei contratti a tempo determinato tra
cui, ad esempio:
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limiti quantitativi
di utilizzo massimo dei contratti a termine (in via generale il 20% rispetto ai
rapporti a tempo indeterminato, laddove non fossero presenti DIVERSE PREVISIONI
PERCENTUALI DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA DI SETTORE);
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possibilità per le
parti interessate di stipulare presso l’Ispettorato territoriale del lavoro
competente un ulteriore contratto a tempo determinato per altri 12 mesi –
ulteriori rispetto ai 24 ammessi in via generale;
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trasformazione del
rapporto a tempo indeterminato qualora si superi la durata massima prevista (24 mesi o 36 nel
caso di cui sopra) o il numero massimo
di proroghe (4) ammesso;
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restituzione contribuzione
aggiuntiva NASpI
con le regole già in vigenti in caso di
trasformazione del rapporto a tempo indeterminato (l’1,4% più, nella misura
dovuta, l’eventuale aumento dello 0,5% in presenza di ciascun rinnovo);
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diritti di precedenza nell’assunzione.
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MODIFICHE PER SOMMINISTRAZIONE
DI LAVORO (art. 2)
In primo luogo, in assenza di
espliciti riferimenti rispetto alla loro applicazione, le novità apportate anche qui al decreto legislativo 81/2015, in
particolare all’art. 34, valgono tanto
per i contratti in essere quanto per quelli stipulati da qui in avanti.
Nel merito si introduce una SOSTANZIALE APPLICAZIONE delle regole valide
per i contratti a termine anche ai rapporti di somministrazione a tempo determinato
instaurati tra un’agenzia e un lavoratore.
In particolare, diversamente dal
passato, anche per una somministrazione di lavoro a tempo determinato
risulterà applicabile d’ora in poi tutta
la disciplina sulla durata, sulle
proroghe e sui rinnovi appena vista in precedenza con le novità di cui sopra,
compresa l’indicazione, laddove richiesto, delle causali.
Per la somministrazione di lavoro a
tempo determinato continueranno invece a non essere applicabili unicamente i
limiti quantitativi di utilizzo e i diritti di precedenza.
Infine, vale anche per la somministrazione di lavoro a tempo determinato
quanto detto in termini di AUMENTO
della CONTRIBUZIONE NASPI AGGIUNTIVA, con un costo contributivo crescente di
uno 0,5% per ogni rinnovo del contratto che si dovesse registrare - da
aggiungere all’1,4% già previsto a prescindere dai rinnovi.
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AUMENTO INDENNITA’
LICENZIAMENTO INGIUSTIFICATO (art. 3, c.
1)
Particolare importanza assume l’INNALZAMENTO dell’INDENNITA’ che in
presenza di un licenziamento economico o disciplinare va versata come regola
generale in sostituzione della reintegra nel posto di lavoro ad un lavoratore
assunto dopo il 7 marzo 2015 con il c.d. contratto a tempo indeterminato a
tutele crescenti.
Come noto, questa indennità economica
cresce in funzione dell’anzianità maturata dal lavoratore presso la stessa
impresa con una proporzione di 2 mensilità - pari all’ultima retribuzione di
riferimento per il calcolo del TFR - per ogni anno di servizio (1 mensilità nel
caso dei datori di lavoro con soglie dimensionali inferiori a quelle previste
dall’art. 18 della legge 300/1970).
Ricordiamo inoltre che il legislatore
con il Jobs Act ha previsto che tale indennità non risultasse comunque
inferiore/superiore a determinati valori: rispettivamente 4 e 24 mensilità per
i datori di lavoro più dimensionati e per le organizzazioni di tendenza, 2 e 6 mensilità
per le piccole realtà.
Ora, con una modifica all’art. 3,
comma 1, del decreto legislativo 23/2015,(2) con riferimento ai datori di lavoro sopra 15 addetti, 5 nel
caso dell’agricoltura, e le organizzazioni di tendenza comprese quindi
le associazioni datoriali come Confcooperative, tali indennità non potranno essere inferiori a 6 mensilità (non
più 4) e superiori a 36 mensilità
(non più 24).
Per i datori di lavoro sotto i 15 addetti – 5 nel caso dell’agricoltura –
in funzione di quanto previsto dall’art. 9, comma 1, del medesimo decreto
legislativo 23/2015, le indennità non
potranno essere inferiori a 3 mensilità (non più 2) – sempre la metà di
quanto previsto per le imprese più grandi -
e superiori a 6 mensilità (come prima).
Tale modifica determina un aumento
secco, da 4 a 6 mensilità, dell’importo minimo che, come indennità di
licenziamento. andrà pagata a prescindere dalla anzianità del lavoratore (da 2
a 3 per le realtà più piccole).
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MISURE DI CONTRASTO
ALLA DELOCALIZZAZIONE E SALVAGUARDIA DEI LIVELLI OCCUPAZIONALI (artt. 5 e 6)
Le disposizioni contenute negli
articoli 5 e 6 sono volte ad arginare il
fenomeno delle c.d. “delocalizzazioni” delle attività economiche delle imprese,
intendendo per tale lo spostamento in altri paesi di attività e processi
produttivi.
Premesso che tale fenomeno non
riguarda, se non soltanto in linea teorica e solo marginalmente, le nostre
realtà cooperative,
offriamo comunque un commento sintetico delle novità introdotte a questo
proposito dal legislatore.
Con l’art. 5 si amplia di fatto la portata di una norma già vigente nel
nostro ordinamento (commi 60-61 dell’art. 1 della legge di stabilità 2014)
prevedendo limiti specifici per imprese
italiane e straniere che abbiano ottenuto aiuti di Stato nel nostro paese per
effettuare investimenti produttivi.
Qualora tali realtà dovessero
ricorrere ad una delocalizzazione in un
altro sito entro i 5 anni dalla conclusione dell’agevolazione, le stesse decadranno dal beneficio e, nel caso
specifico di una delocalizzazione extra UE, saranno sanzionate con una somma
compresa tra 2 e 4 volte l’importo dell’aiuto fruito.
Analogamente, e in maniera
complementare, l’art. 6 impone un obbligo di tutela dell’occupazione fino ad
un periodo di 5 anni per le imprese che abbiano beneficiato di aiuti di Stato
che prevedano una valutazione dell’impatto occupazionale.
In assenza di un giustificato motivo
oggettivo,
decadranno dal beneficio in misura proporzionale alla riduzione del livello
occupazionale, fatto salvo che fino al 10% di riduzione il beneficio sarà
mantenuto, mentre invece verrà interamente disconosciuto in presenza di una
riduzione del personale superiore al 50%.
Per entrambe le disposizioni gli
importi recuperati andranno a incrementare la dotazione di risorse desinata al
medesimo aiuto di Stato.
Tempi e modalità con cui attuare e verificare
il rispetto di queste nuove norme saranno definite con riferimento specifico
alle misure di aiuto di propria competenza da ciascuna pubblica
amministrazione, cui spetterà anche il compito di puntualizzare meglio alcuni
aspetti applicativi che stando al contenuto del decreto-legge rimangono
piuttosto indefiniti.
(1) Nostre circolari n.16 del 21 marzo
2014 – prot. n.1502 – n. 27 del 20 maggio 2014 – prot. n. 2423 – e n.38
del
25 giugno 2014 – prot. n 3058.
(2)
Nostra circolare n. 8 del 9 marzo 2015 - prot. n. 967.