Con circolare del 12 aprile c.a., a
seguito delle reiterate sollecitazioni pervenute dalle Organizzazioni, tra cui
Alleanza delle cooperative, la competente Direzione del Ministero della
transizione ecologica è intervenuta a fornire alcuni importanti chiarimenti in
materia di applicazione delle disposizioni sulla tariffa rifiuti urbani che, a
seguito dell’entrata in vigore delle modifiche apportate al codice ambientale
con il decreto legislativo n.116 del 2020, presentava diversi profili di dubbia
interpretazione.
La circolare chiarisce le modalità di
applicazione della TARI (parte fissa e/o parte variabile), in particolare,
sulle diverse tipologie di utenze, tra cui utenze industriali, artigianali,
agricole ed agroindustriali.
Nel rinviare alla lettura integrale del
documento in allegato, si riportano, di seguito, alcuni elementi di sintesi sui
chiarimenti forniti.
LE NOVITÀ NORMATIVE INTERVENUTE E LE
CRITICITÀ
Al riguardo, nel
rinviare alla lettura delle circolari di questo Servizio n.27 del 2020 e 40 del
2020 per il dettaglio delle modifiche intervenute a seguito dell’approvazione
del decreto legislativo n.116 del 2020, si ricorda come il citato decreto
abbia, tra l’altro, innovato in modo sostanziale il sistema di assimilazione
dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani modificando le definizioni di rifiuto
urbano e di rifiuto speciale ed aggiungendo due nuovi allegati: nella
definizione di rifiuto urbano sono stati inclusi tra i rifiuti urbani anche i
rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti
che sono simili per natura e
composizione ai rifiuti domestici indicati nell'allegato L-quater prodotti
dalle attività riportate nell'allegato L-quinquies alla Parte quarta del codice
ambientale. La previsione di specifici allegati in materia (allegati L-quater e
L-quinques) ha reso inutile il rinvio ad ulteriori provvedimenti, sicché nel
resto dell’articolato del codice ambientale risultano abrogate le norme
previgenti in materia di competenze che, in passato, rinviavano ad appositi
regolamenti comunali l’assimilazione per specifiche quantità e tipologie di
rifiuti, sulla base di criteri che dovevano essere definiti dal Ministero.
Pertanto,
con la nuova disciplina, i rifiuti prodotti dalle utenze non domestiche
elencate negli allegati citati, sono considerati ex lege come urbani, senza necessità di un provvedimento espresso
adottato a livello comunale, di assimilazione.
La norma precisa che i
rifiuti urbani non includono i rifiuti della
produzione, dell'agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle
fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque
reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti
da costruzione e demolizione.
In tale contesto, il
citato decreto n.116 del 2020 ha introdotto l’articolo 238, comma 10 nel codice
ambientale, prevedendo l’esclusione della corresponsione della componente
tariffaria, rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti, per le utenze non
domestiche che producono rifiuti urbani e li conferiscono al di fuori del
servizio pubblico, dimostrando di averli avviati al recupero mediante
attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei
rifiuti stessi. La norma precisa che la scelta di servirsi del gestore del
servizio pubblico, ovvero del ricorso al mercato, deve essere effettuata per un
periodo non inferiore a cinque anni.
Sulla questione è
intervenuta recentemente anche la disposizione recata dall’art. 30, comma 5,
del D. L. 22 marzo 2021, n. 41 che ha fissato al 31 maggio di ciascun anno il
termine per le utenze non domestiche di comunicare al comune, o al gestore del
servizio rifiuti in caso di tariffa corrispettiva, la volontà di avvalersi del
servizio pubblico o del servizio privato.
Le difficoltà di lettura
sono state legate al fatto che disposizioni citate non risultano perfettamente
coordinate con la disciplina generale in materia di applicazione della TARI, di
cui alla legge n.147 del 2013 e, d’altra parte, che l’art. 238 del codice
ambientale richiamato, in cui risulta inserita la disposizione che consente
alle utenze non domestiche si servirsi di un gestore privato, in realtà,
disciplina la c.d. tariffa integrata ambientale o TIA2, soppressa dal 2011,
determinando così un problema di lettura, in considerazione della collocazione
non adeguata nel contesto normativo.
I CHIARIMENTI
1) Coordinamento con l’art. 238 del TUA
e il comma 649 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013 e determinazione della
tariffa TARI e della tariffa corrispettiva
La circolare chiarisce
che, nelle more di un intervento di coordinamento normativo, si può ritenere
che sebbene l’articolo 238, comma 10 del codice ambientale sia attualmente inserito in una collocazione
non perfettamente adeguata, risulta comunque chiara la volontà del legislatore
di consentire alle utenze non domestiche il conferimento al di fuori del
servizio pubblico dei propri rifiuti urbani alle condizioni ivi indicate, con una riduzione della sola quota variabile della TARI
per le utenze non domestiche che sia avvalgano di un privato, proporzionalmente
alle quantità dei rifiuti autonomamente avviati a qualsiasi tipologia di
attività di recupero. Viene chiarito che, in questa ipotesi, per le
stesse utenze rimane impregiudicato il versamento della TARI relativa alla
parte fissa, calcolato sui servizi forniti indivisibili.
L’utente produttore è
tenuto a comunicare formalmente, entro il 31 maggio
di ciascun anno, all’ente gestore di ambito ottimale, ove costituito ed
operante, ovvero al comune di appartenenza, la scelta di non avvalersi del
servizio pubblico di raccolta.
Con riferimento alla
previsione di cui all’articolo 238, comma 10, del Codice ambientale, che
richiede che la scelta di avvalersi del privato da parte dell’utenza non
domestica, debba essere fatta per almeno 5 anni, viene chiarito che è ammessa la facoltà, nel corso dei suddetti cinque anni,
di cambiare operatore privato. Se invece l’utenza non domestica intende
passare dall’operatore privato a quello pubblico prima della scadenza del
termine quinquennale, tale scelta è subordinata alla possibilità per il gestore
del servizio pubblico di riprendere l'erogazione del servizio.
La comunicazione
relativa alla scelta di affidarsi a un gestore alternativo a quello del
servizio pubblico, deve riportare le tipologie e le quantità dei rifiuti urbani
prodotti oggetto di avvio al recupero ed ha valenza a partire dall’anno
successivo a quello della comunicazione.
2) Locali ove si producono rifiuti
“urbani” con riferimento alle diverse categorie di utenza
- Attività industriali ed artigianali (rifiuti
di cui all’articolo 184, comma 3, lettere c) e d) del codice ambientale
La circolare chiarisce
che, con riferimento ai rifiuti da utenze industriali ed artigianali, l’art.
184, comma 3, lettere c) e d), del codice ambientale definiscono “speciali” i
rifiuti di queste utenze, se diversi dai
rifiuti urbani, confermando, quindi, che tali attività sono produttive sia
di rifiuti urbani che di quelli speciali.
Ciò comporta che:
• le superfici dove
avviene la lavorazione industriale o artigianale sono escluse dall’applicazione
dei prelievi sui rifiuti, compresi i magazzini di materie prime, di merci e di
prodotti finiti, sia con riferimento alla quota fissa che alla quota variabile;
• continuano, invece,
ad applicarsi i prelievi sui rifiuti, sia per la quota fissa che variabile,
relativamente alle superfici produttive di rifiuti urbani, come ad esempio,
mense, uffici o locali funzionalmente connessi alle stesse.
• resta dovuta solo la
quota fissa laddove l’utenza non domestica scelga di conferire i rifiuti urbani
al di fuori del servizio pubblico, secondo quanto chiarito sopra.
-
Attività
agricole, agroindustriali e della pesca – rifiuti i cui all’articolo 184, comma
3, lettera a) del codice ambientale
In merito alle attività
di cui all’articolo 184, comma 3, lettera a) del codice ambientale, la
circolare precisa che l’attuale formulazione delle disposizioni contenute nel
D. Lgs. n. 116 del 2020, porta a classificare come speciali tutti i rifiuti
derivanti da dette attività, comprese anche quelle ad esse connesse, di cui all’art.
2135 del codice civile. Dal complesso delle norme di settore si evince, per i
rifiuti derivanti dalle attività agricole, agroindustriali e della pesca (di
cui all’articolo 184, comma 3, lettera a) codice ambientale un’esclusione dall’applicazione del nuovo regime previsto
per i rifiuti urbani. Tale esclusione è in linea con quanto previsto
dalla direttiva comunitaria di riferimento che, all’articolo 3, precisa che “i rifiuti urbani non includono, tra gli
altri, i rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della
pesca”.
Ciò premesso, sulla
base di quanto previsto nell’allegato L-quinquies, della Parte quarta del TUA
che chiarisce che “Attività non elencate,
ma ad esse simili per loro natura e per tipologia di rifiuti prodotti, si
considerano comprese nel punto a cui sono analoghe” viene comunque
riconosciuta, per le suddette utenze, la
possibilità, in ogni caso, di concordare a titolo
volontario con il servizio pubblico di raccolta modalità di adesione al
servizio stesso per le tipologie di rifiuti indicati nell’allegato L-quater
della citata Parte quarta del TUA.
Da ultimo si osserva
che, in considerazione della modifica normativa intervenuta, che ha comportato
per tali utenze, la possibile riqualificazione di alcune tipologie di rifiuti
derivanti dalla propria attività, nonché della necessità di garantire la
corretta gestione dei rifiuti, nelle more
dell’aggiornamento del rapporto contrattuale tra le utenze indicate ed il
gestore del servizio pubblico, debba essere comunque assicurato il mantenimento
del servizio.
3) Possibilità di fissazione di una
quantità massima di rifiuti urbani conferibili al sistema pubblico, a seguito
dell’eliminazione della potestà comunale di assimilazione
Riguardo a tale punto, la
circolare evidenzia che il D. Lgs. n. 116 del 2020 ha eliminato la competenza
dei comuni in materia di regolamentazione sull’assimilazione dei rifiuti
speciali ai rifiuti urbani, facendo venir meno, a decorrere dal 1° gennaio
2021, anche i limiti quantitativi già stabiliti dai regolamenti comunali. È
stato evidenziato che potrebbe verificarsi un aumento incontrollato delle
quantità di rifiuti urbani rispetto a quelle attuali, rendendo difficile lo
svolgimento del servizio, per cui è stata manifestata l’esigenza di fissare dei
limiti di conferimento dei rifiuti urbani da parte delle utenze non domestiche
che tengano conto della capacità di assorbimento del sistema.
In proposito, la
circolare precisa che tale possibilità è esclusa dalle disposizioni unionali e che
i comuni sono tenuti ad assicurare la gestione dei rifiuti urbani, compreso lo
smaltimento in regime di privativa, ove l’utenza non domestica scelga di
avvalersi del servizio pubblico.
È quindi con i
contratti di servizio che verranno fissati i parametri tecnici ed economici per
l’efficiente gestione dei rifiuti urbani da parte dei soggetti affidatari. In
questa direzione devono concepirsi accordi o convenzioni con sistemi di
responsabilità estesa del produttore (EPR), su cui grava l’onere di gestione del
fine vita dei propri prodotti immessi sul mercato nazionale, al fine di
potenziare la capacità di gestione di tutte le quantità prodotte. L’Ente di
governo d’ambito territoriale ottimale, laddove costituito ed operante, ovvero
i comuni, dunque, nell’ambito delle proprie competenze, sono tenuti a
disciplinare le modalità organizzative delle operazioni di raccolta, cernita ed
avvio al trattamento, cui i produttori devono adeguarsi.