Il piano della Commissione UE mette a rischio l’economia sociale

Il piano della Commissione UE mette a rischio l’economia sociale

Il piano della Commissione UE mette a rischio l’economia sociale

Gardini «Così si tradisce la sostenibilità sociale ed economica. Trattori ed economia sociale non competono con i carrarmati»

venerdì 3 ottobre 2025

«Un’Europa prigioniera di tecnocrazia e burocrazia che volta le spalle all’economia sociale. Trattori ed economia sociale non sono in competizione con i carrarmati». Così Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, dal Festival nazionale dell’Economia Civile di Firenze commenta il nuovo piano finanziario presentato dalla Commissione guidata da Ursula von der Leyen. Un cambio di rotta rispetto al primo mandato che, secondo Gardini, rischia di trasformarsi in una «doccia fredda» per oltre 3 milioni di imprese europee del settore e per i loro 13,8 milioni di lavoratori, di cui 4,7 milioni occupati nelle cooperative (1,3 milioni solo in Italia).

«Quello che doveva essere un canto di speranza per la nuova Europa rischia di diventare il canto del cigno» sottolineando che le misure annunciate «indeboliscono proprio quegli strumenti che potrebbero dare sostanza alla tanto evocata sostenibilità sociale e ambientale». Lo dice Maurizio Gardini commentando il focus Confcooperative “Cooperative motore dell’economia sociale in Europa”.

L’entità dei tagli conferma le preoccupazioni. Il piano riduce di oltre 80 miliardi di euro le risorse per l’agricoltura, un comparto in cui le cooperative italiane generano il 25% dell’agroalimentare Made in Italy. La pesca vede i fondi scendere da 6 a 2 miliardi, colpendo un settore in cui le cooperative rappresentano l’80% della produzione nazionale. Penalizzazioni annunciate anche per i fondi strutturali, sia sul piano finanziario sia su quello dell’autonomia gestionale. Sul fronte sociale, i tagli non sono ancora quantificati ma si preannunciano «sostanziali».

«Lo avevamo già paventato a gennaio, durante l’incontro con gli europarlamentari italiani a Bruxelles – ricorda Gardini – i fondi strutturali perdono non solo risorse ma anche identità e capacità di intervento». Ad aggravare il quadro, la Germania ha già bocciato il piano definendolo “troppo generoso” e “incompatibile con il risanamento finanziario” invocato da Berlino. «Un paradosso – osserva Gardini – che rivela come l’economia sociale e altri settori produttivi non legati all’industria pesante vengano sacrificati a logiche ragionieristiche che in passato hanno già prodotto troppi danni».

Il peso della cooperazione italiana è tutt’altro che marginale: 60mila cooperative, 1,3 milioni di addetti, 12 milioni di soci e 160 miliardi di euro di fatturato complessivo, pari all’8% del Pil. Confcooperative da sola riunisce 16mila imprese con 550mila lavoratori (il 61% donne) e 82 miliardi di euro di ricavi, contribuendo da sola al 4% del Pil.

La leadership si manifesta in comparti strategici: 25% dell’agroalimentare Made in Italy, 80% della pesca, oltre il 20% degli sportelli bancari grazie a Bcc, Casse Rurali e Raiffeisen, 30% del consumo e della distribuzione al dettaglio e servizi di welfare per 7 milioni di persone, tra minori, anziani e soggetti fragili.

Una forza globale quella del movimento cooperativo europeo che conta 176mila imprese, 4,7 milioni di lavoratori e 141 milioni di soci, pilastro dell’economia sociale. Mentre a livello mondiale le cooperative contano 3 milioni di imprese, 280 milioni di lavoratori e 1 miliardo di soci: le 300 cooperative più grandi fatturano 2.400 miliardi di dollari, equivalenti, se fossero uno stato, a una potenza economica.

«Le cooperative, motore dell’economia sociale europea, meritano ben altra considerazione da parte delle istituzioni comunitarie. Il rischio concreto – conclude Gardini – è che l’economia sociale, orgoglio di un continente che si voleva diverso, finisca vittima delle stesse logiche che hanno già fatto troppi danni».