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Workers buy out, merito talento e coraggio: in cooperativa per sfidare la crisi

Workers buy out, merito talento e coraggio: in cooperativa per sfidare la crisi

Gardini su Huffington post «Nei workers buy out ritroviamo l’essenza dal mutualismo, del fare impresa avendo come bussola il bisogno e dove il profitto è mezzo e non fine»

domenica 1 maggio 2022

L'intervento del presidente Gardini via Huffington Post, a seguire il link per leggerlo dal sito /https://www.huffingtonpost.it/blog/2022/04/30/news/workers_buy_out_la_formula_magica_per_salvare_imprese_e_lavoratori_in_cooperativa_contro_la_crisi-9293183/amp/

 

di Mauriizio Gardini

Il 1 maggio celebra il lavoro e i lavoratori. Tra di loro c’è chi davanti a un destino che sembrava inesorabile quanto affliggente non ha ceduto allo sconforto, ha messo in gioco se stesso, il proprio destino e quello della sua famiglia, spesso investendo il Tfr, il salvagente temporaneo che avrebbe permesso di sopravvivere per qualche tempo per poi sgonfiarsi e portare a picco tutti coloro che vi si erano aggrappati, e si è fatto promotore di impresa: il workers buy out.

Perché ogni impresa che chiude è una sconfitta. Per chi come l’imprenditore che l’ha creata che vede andare in fumo sogni, speranze, ambizioni. Per il territorio che vede spegnere una fonte di vita economica e sociale. Per i lavoratori che perdono la speranza nel futuro. Per il sistema economico che vede mortificare professionalità, competenze che potrebbero invece continuare a generare benessere. Una sconfitta per tutti.

Le imprese chiudono anche quando non dovrebbero, soprattutto quando la governance è lontana, magari gli investitori non sono neanche persone, ma legali rappresentanti di un lontano fondo di investimento finanziario che apre, chiude, delocalizza in base alle logiche della speculazione e del profitto. E quindi pronto a chiudere anche quando non ci sono ragioni vere per decretarne la fine. E in casi come questi la sconfitta è doppia.

Negli ultimi 35 anni in Italia sono nate 320 impese recuperate da lavoratori, workers buy out, che rischiavano il licenziamento per cessata attività. Imprese rigenerate che hanno permesso di salvare non solo posti di lavoro ma anche la cultura del saper fare di cui anche l’occupazione è espressione. Quel saper fare sedimentato giorno dopo giorno, codificando l’intuizione, riducendo a pratica replicabile un sapere che fino ad allora era unico, continuando a generare cultura del lavoro e il rispetto della dignità di chi, con ruoli diversi, di quella cultura è promotore e protagonista.  

Nella quasi totalità dei casi le imprese recuperate hanno assunto la forma della cooperativa. Coerente alla sua natura, la cooperativa ancora una volta si è rivelata lo strumento migliore per organizzare in forma imprenditoriale coloro che si uniscono per soddisfare un bisogno comune. Il territorio che esalta l’autoimprenditorialità, trasforma un lavoratore in imprenditore di se stesso, non aspetta interventi dall’alto, ma prende in mano le sorti del suo destino.

Nei workers buy out ritroviamo l’essenza dal mutualismo, del fare impresa avendo come bussola il bisogno e dove il profitto è mezzo e non fine. Ma ritroviamo anche il coraggio di ripartire, di rischiare, di credere nelle proprie capacità e di poter contare su quelle di chi con noi condivide la stessa sfida. Di continuare a coltivare, nonostante tutto, la speranza. Un inno all’ottimismo. Dopo due anni di pandemia e una guerra che mostra ogni giorno le mostruosità di cui l’uomo è capace, sentiamo il bisogno di credere nell’ottimismo della volontà, di volgere lo sguardo a favore di chi rischiando tutto e nonostante tutto ha avuto il coraggio di investire sul futuro, grazie al suo talento, al suo impegno e al suo coraggio.