L'alimentazione rappresenta il primo pilastro della salute pubblica, ma le politiche commerciali europee rischiano di compromettere gli sforzi compiuti dall'Italia nel settore agroalimentare. È questo l'allarme lanciato da Raffaele Drei, presidente di Confcooperative Fedagripesca, durante il panel "Agricoltura, salute e concorrenza sleale" al Festival dell'Economia di Trento
I numeri dell'eccellenza italiana
I dati presentati al Macfrut testimoniano la qualità superiore delle produzioni italiane: oltre il 65% dei prodotti agricoli nazionali risulta completamente privo di residui chimici, mentre solo lo 0,4% presenta tracce leggermente superiori ai limiti consentiti dalla normativa europea. Numeri che collocano l'Italia all'avanguardia nella produzione salutistica, con benefici tangibili per ambiente, produttori e consumatori.
«Il primo elemento di salute è come ci alimentiamo – ha sottolineato Drei–. Le scelte fatte in Europa e in Italia, che primeggia in questa attenzione al modo di produrre in maniera salutistica, rappresentano un investimento strategico per salvaguardare tutti gli attori della filiera».
Il paradosso delle politiche green europee
Tuttavia, secondo il presidente di Confcooperative Fedagripesca, la politica europea si trova di fronte a una contraddizione: «Dietro a un miraggio green, mette fuorigioco la produzione europea, aprendo le porte a prodotti che arrivano da Paesi come quelli del Mercosur, che utilizzano oltre 90 molecole fuorilegge in Europa e in Italia».
Il riferimento è agli accordi commerciali internazionali che permettono l'ingresso nel mercato europeo di prodotti agricoli che non rispettano gli stessi standard di sicurezza e sostenibilità richiesti ai produttori comunitari.
Il caso del benessere animale
L'esempio più eclatante riguarda il settore zootecnico. Mentre in Europa sono vietati gli ormoni della crescita negli allevamenti, questi rimangono autorizzati negli Stati Uniti, dove vengono utilizzati insieme a soia e mais geneticamente modificati. Una disparità di trattamento che genera distorsioni competitive significative.
«Non c'è partita tra chi ha investito tanto come noi nelle produzioni di eccellenza e chi non lo ha fatto, come accade in Asia e nelle Americhe», ha denunciato Drei.
La necessità di regole chiare
Il presidente di Confcooperative Fedagripesca ha richiamato l'attenzione sulla necessità di stabilire condizioni equilibrate per l'apertura delle frontiere: «Se apriamo le frontiere a questi prodotti dobbiamo decidere quali sono le condizioni. Ma bisogna garantire parità di trattamento tra tutti gli operatori del mercato».
La questione tocca il cuore della competitività del settore agroalimentare europeo, chiamato a competere con produzioni che beneficiano di costi inferiori proprio perché non sottoposti agli stessi vincoli ambientali, sanitari e di benessere animale.
Il dibattito sulla concorrenza sleale nel settore agricolo si inserisce in un contesto più ampio di revisione delle politiche commerciali europee, dove la sostenibilità ambientale deve trovare un equilibrio con la tutela delle eccellenze produttive continentali e la garanzia di condizioni competitive eque per tutti gli operatori del mercato globale.