Rappresentano il 60% del territorio, sul quale opera il 24,2% delle cooperative aderenti a Confcooperative. Numeri decisamente non marginali quelli che si riferiscono alle aree interne del Paese, diffusi nel corso del seminario “Lo sviluppo locale nelle aree interne: quali politiche e quali obiettivi”, organizzato oggi a Roma proprio per individuare le possibilità di sviluppo dei territori che si trovano al di fuori delle aree centrali.
«Rispetto aree metropolitane le aree interne si sviluppano su un territorio molto più elevato e rischiano di diventare giacimenti di risorse non sfruttate - ha spiegato la vicepresidente di Confcooperative Claudia Fiaschi -, caratterizzate dalla riduzione e dall’invecchiamento della popolazione, dal dissesto ambientale e dalle difficoltà di mobilità con conseguente scarsità dei servizi. Si parla di 13,5 milioni di persone che vivono in queste zone: un aspetto non trascurabile, per il quale occorre un approccio integrato nel quale la cooperazione, che già opera in queste aree, può fare molto».
Quasi una cooperativa su 4 infatti, secondo le analisi del Centro studi di Confcooperative, opera nelle aree interne. Prevalentemente nel settore agricolo e nella pesca, ma con una crescente presenza di cooperative che operano nel settore terziario, soprattutto nel sociale e nel sanitario. Cooperative che anche in queste aree hanno dimostrato una capacità di resistenza notevole negli anni della crisi, registrando una crescita del 9% nel valore della produzione 2014 rispetto al 2008, con un tasso di longevità che nella maggior parte dei casi supera i 20 anni di vita.
«La cooperazione offre possibilità di sviluppo legate al territorio, ed è proprio questo legame alla comunità uno dei principali fattori di resilienza della cooperazione – ha evidenziato il direttore di Aiccon, Paolo Venturi –. È necessario promuovere i fattori di sviluppo endogeni, capaci di fare da effetto moltiplicatore e strutturarsi con la pubblica amministrazione, valorizzando le risorse già disponibili sul territorio».
«Il concetto di comunità ha definito per molto tempo piccoli gruppi caratterizzati da fenomeni e processi marginali, d’ostacolo all’affermazione della libertà individuale – ha aggiunto Gianluca Salvatori di Euricse -. Successivamente il rapporto si è ribaltato facendo emergere un nuovo bisogno di relazioni e di socialità, e qui si inseriscono le cooperative di comunità che sono in grado di proporre nuovi modelli di relazione, coniugando l’agire economico e l’agire sociale facendo entrare i componenti della comunità all’interno del processo di produzione di beni e servizi».
«Un ruolo importante che la cooperazione è in grado di assumere grazie al radicamento sul territorio e alla capacità di rispondere ai bisogni delle persone valorizzando le risorse disponibili. Con le cooperative di comunità è la comunità stessa che non solo riceve dei servizi, ma partecipa al processo di produzione di valore economico e sociale. Aspetto ancora più rilevante in aree importanti per la crescita, che non possono essere considerate marginali» ha concluso il vicesegretario di Confcooperative, Marco Venturelli.
Ai lavori hanno partecipato: Paolo Prosperini, Strategia nazionale aree interne; Pierpaolo Prandi, Ufficio studi e ricerche Confcooperative/Fondosviluppo; Giampiero Lupatelli, Caire; Pierlorenzo Rossi, direttore Confcooperative Emilia Romagna; Attilio Tartarini; Gal “Valtellina”; Paolo Venturi, direttore Aiccon; Giovanni Teneggi, direttore Confcooperative Reggio Emilia; Giorgio Costantino, direttore Bcc Laurenzana e Nova Siri; Giampaolo Congias, presidente coop. soc. Entula – NU; Mario Ricotta, presidente coop. soc. Keres – FG; Francesco Biscia, presidente Biolanga soc. coop. agr. – CN; Maurizio Giuliano, presidente coop. SE. PE. Servizi Petralia – PA; Lucia Miotti, Albergo diffuso Comeglians soc. coop. – UD; Gianluca Salvatori, Euricse; Flaviano Zandonai, Euricse; Giuseppe Daconto, Fondosviluppo - dipartimento Politiche per lo sviluppo.